venerdì 31 luglio 2015

UN CARTELLO AL POSTO GIUSTO.

La presenza è utile,
si confonde in mezzo alla marmaglia:
poi la gente parla
e qualcosa ne risulta.
Ma se all'ora giusta
l'orecchio s'apre e ascolta
tutto il suono
di una piazza vuota,
un passante può da solo
percorrere la strada
fino all'estremo quartiere periferico,
al grande varco
prima del lungo rettifilo.
Non a caso
un cartello
è messo al posto giusto,
ma non porta nessuna indicazione.

giovedì 30 luglio 2015

EGLI SEMPRE SOLO.

Si conosceva bene,
tutto rivolto d'intorno,
attento,
appagato dalle piccole azioni
che faceva con le mani.
Quell'uomo
si esprimeva
col sorriso
proiettato tutto intorno.
Egli, geloso di se stesso
in ogni occasione di riflesso,
si rimetteva
pronto, come un lupo solitario
all'ora della caccia,
a godere
appieno il conforto
di passare un'ora
in pace con se stesso.

TENTAZIONE CONTADINA.

Un debole evento
colpisce una sera
comune a tante,
ma meno ripetuta,
assai dolce e contadina.
Dispiace confessare
la fuga dal dovere,
il comune senso dell'oblio
acquieta l'esistenza.
Un pò di vento
fa da tentazione:
l'evento non transige
e perciò si manifesta.

martedì 28 luglio 2015

LA CONQUISTA DELLA VETTA.

Dal piano,
guadagniamo altezza
per una via
sassoerosa sminuzzata
e avanti,
salita gradinante a regola di scala;
salire, sudare e
salire...
Ti dico
anche se non me lo chiedi,
guadagnare altezza a piedi
è la più dura parodia
della lunghezza;
otto battute non bastano,
ce ne vogliono ottantotto,
col dovuto allenamento
e ancora non è niente
per una salita appena decente.
La tosse,
in piena salita,
salmodia ritmo
a duro schema di insistenza;
a quando
un altro incontro
con la tosse?
In questo
ci vuole tolleranza,
ognuno
deve salire ad ogni costo.
Non mi sfuggono,
non si può mai dire
quante sono le vie della pazienza
e due, mille,
certamente un numero,
per la conquista
della vetta.



lunedì 27 luglio 2015

DESTINO O SOGNO?

La penna sul tavolo
sollecita una previsione.
I contadini del secolo
si preparano tutti all'azione.
Chi mai può conoscere
l'imprevedibile segno
che il destino propone,
offrendolo in sogno?

GITA.

Tanto è motivo di soddisfazione,
quanto la ragione ultima
dell'escursione.
Un fischio
da una barca vicina
avverte un pò tutti
che il momento è vicino.
Tutti salgono,
perché partono
e poi scendono,
perché arrivano.

domenica 26 luglio 2015

FIDANZATI.

Offro a lei,
che ama le zucchine
con la ricotta riccioluta,
una interminabile giornata
sotto il sole di settembre.
Tante belle cose
per tante belle ore
davanti alla casa
della nostra vita.
E lei sbalza, si discarta,
scende e sfoggia
l'ultimo pull-over
della serie cava-e-metti.
Noi due ne riceveremo
una finfine misteriosa,
con la sorpresa a tempo
incorporata dentro.

MOSTO.

Il buon vino, appiccicoso, attaccaticcio,
riposa al buio
e ribolle.
Uhh, quel tappo di sughero rospo,
quel tappo come si cucca
il rosso brodetto
che fa una schiumetta rosé
e si attacca, s'imbaciucca,
s'innalza nella gravida botte!
L'odore si squaglia
nell'aria, a rapidi morsi:
ciccioli profumati
tentano alla sosta,
con l'arcana speranza
di ottenere per tempo
il piacere di un sorso.

sabato 25 luglio 2015

SONO ARRIVATO AI CANCELLI DELLA STRADA.

Sono partito anche oggi
con la mia amichevole giacca
ispirato dalla lunghezza della strada
per arrivare al bagliore
di uno specchio verticale.
Non ho avuto un attimo di debolezza.
All'inizio, rubavo melodie
con violenti spasmi commerciali,
poi ho ballato, facendo cadere capelli nei viali.
Il prurito sotto i vestiti
ha sviluppato vesciche internazionali,
sono stato costretto a maneggiare molto denaro
per riuscire a mangiare.
Le gambe,
verso sera,
facevano schedina,
ma non ho chiesto aiuto a nessuno.
Sono entrato in un bar
solo per comprimere il torace alla gente,
alle donne specialmente,
vicino all'uscita...
Sono tornato anche stasera
nel buio profumato
del mio nido a forma di quartiere
con le tavole, le uova sode,
i bicchieri schiumosi di vino,
i nitriti salati della gente perbene.
Finalmente sono arrivato ai cancelli della strada,
ho varcato il confine,
poi sono andato a dormire.

venerdì 24 luglio 2015

NUVOLE.

Aperto dopo uno squarcio d'azzurro,
buco, fiordo, montone:
un passaggio.
Il colore scuro incalza sul colore chiaro,
poco in fretta, audace:
un altro passaggio.
Passaggi dal nudo al coperto,
nel soffio silenzioso del bianco vapore.
Aria partoriente,
lontana:
si compie il mistero del mare
e piove.
Riccioli di forme sfumate
in volo,
in sogno,
sciolte dal vento.
Nudità bianche,
isole nere,
mentre la tentazione corre lungo linee precise.
Drammi della violenza,
misteriosi scontri;
le armi dell'aria si affilano,
si annientano ancora
e piove.
Germogli, matrimoni, conoscenze,
vicinanze, litigi, costruzioni,
giochi.
Tutto lontano, tutto trasparente.
Il cielo si perde,
si veste, si imbarba, si chiude,
ma non stupisce nessuno
e piove.

giovedì 23 luglio 2015

ANCH'IO SO GIOCARE.

Anch'io mi lamento
quando un colpo di sasso
mi spinge il respiro all'indietro.
Io mi conosco:
rifiuto il problema dell'uomo nel fiume,
dell'arabo in mezzo alla sabbia,
del mare coperto di schiuma.
Giro e rigiro ogni soluzione,
spingo, riparto,
collaboro ancora:
anch'io mi accontento.
Tutta la luce dell'alba
per aprirmi all'ardore
del ballo sul tamburo
della mia schiena.
Da solo
intono la canzone
di chi ha dimenticato la strada.
Con spinta di rampicante,
mi spingo oltreconfine:
anch'io mi tormento.
Io mi contrasto
quando sono incerto sull'intonazione
dei miei gorgheggi distratti
e batto chiodo d'amore
su tavola di speranza,
col tocco sicuro dell'incrocio di seme:
tavola e chiodo, amore e speranza...
D'improvviso, arrivano i corvi.
Mi giro e loro mi rubano il vento.
Non mi lamento del furto,
non mi lamento neppure
del belato della mia giacca di lana:
sono un viandante misterioso.
Non confido a nessuno
il tracciato della mia strada,
dissemino segni di incroci
con l'unico scopo della burla solenne.
Non conosco spiffero di finestra
che mi possa fermare,
scavalco i muretti come un cavallo in gara,
mi sfinisco
riflettendo e fischiando l'arrivo.
La passione del viaggio
è una prova di forza:
anch'io mi appassiono.
Brevi saltelli con l'agile passo delle lunghe distanze,
finché la felicità dello sforzo
mi fa riposare
tutta la strada percorsa,
tutto l'arco dei lunghi respiri:
anch'io mi riposo.
Sono ancora io,
con la mia giacca di lana, a dominare la strada.
Nessuno mi manda via,
nessuno mi osserva,
perché sono sicuro e mi penso:
anch'io mi nascondo.
Alla cerimonia dell'intonazione,
colgo la frutta con le mani,
saluto i bambini con un tocco sulla testa,
faccio cu cu alle ragazze,
mi sento meglio facendo cu cu,
molti altri si sentono meglio facendo cu cu.
Non c'è niente da fare:
bisogna sfondare la porta ed entrare,
siamo troppi al di dentro.
Un senso di soddisfazione
mi spinge ad agire,
a chiedere a qualcuno come sta,
a guardare quello che gli altri
mi fanno vedere.
Non c'è mai tempo abbastanza
per tornare indietro,
per essere sicuro di camminare meglio,
non c'è neanche il tempo di riposare troppo.
La passione del gioco
mi porta un gelato, una tromba, una palla:
anch'io so giocare.

martedì 21 luglio 2015

HO PASSATO LA NOTTE IN UN DORMIVEGLIA BOVINO.

Ho chiuso un pò di solitudine
dentro la coppa di un bicchiere vuoto
e mi sono seduto,
un pò malconcio,
a ridosso di una cascata d'erba.
Non avevo paura:
le rane si muovevano tranquille,
i gabbiani erano ormai passati.
Quando
ho avvertito la crescita fuori misura
di alcuni peli neri,
ho raccolto qualche cuscino per strada.
Non c'era niente di male
se mi acconciavo per la notte!
Ho chiuso i miei peli in un vaso,
ho riempito il bicchiere di vino
e ho passato la notte
in un dormiveglia bovino.

lunedì 20 luglio 2015

TROPPO BUIO PER USCIRE DAL LETTO.

Troppo presto
per pensare al disprezzo della civetta.
Il vento soffia
una litanìa di foglie:
coi suoi muscoli neri,
le incita al canto.
Troppo presto
per dimenticare l'andatura goffa dell'anatra.
Il sole distende
una fitta capigliatura d'erba,
la germoglia e la stende per terra.

Troppo tardi
per distinguere il gabbiano dal corvo.
La notte nasconde
ogni forma vivente
tra immobili ombre.
Troppo buio
per uscire dal letto.

domenica 19 luglio 2015

PAROLINO.

Dopo aver espresso
un piacevole motivo alimentare,
Parolino comincia la recitazione:
niente pietre, niente sabbia,
nessuna bottiglia, né bicchieri.
Solo doveri e ricordi.
Pure superstizioni...
Parolino uno, Parolino due,
la storia è la stessa
di quando si parlava in rima
con una pistola sotto la gola...
scherzi, insomma
con la pistola in mano!
Parolino ha un soprabito grigio,
gli zoccoli sotto i suoi piedi
sono molto veloci:
è insomma un'espressione valida
di un valido attore!
Lo studio lo ha formato,
la pratica lo ha forgiato,
un turco lo ha infinocchiato.
Parolino tre, Parolino quattro,
il crescendo dei numeri
ha l'orario perverso del tempo,
ma poi il fastidio della noia prevale
e Parolino gioca, guarda,
si impegna a camminare per terra.
Quando sorride
è l'ora del riso,
quando mangia è l'ora del pranzo,
quando dorme
è l'ora del sonno,
quando è notte,
Parolino sogna.
La recita dei sogni si conclude presto.
L'affannoso dormiveglia
trasforma in zavorra
la sua mole, alleggerita dal sonno.
Parolino cinque, Parolino sei.
Durante il giorno esce dal letargo
delle ore nere,
gonfiato dalle promesse dei suoi occhi curiosi
e rende favore
alle sue recite giornaliere,
espresse in modo tanto bizzarro
da risultare moderne.
Parolino comincia sempre
col denaro della soddisfazione.
Talvolta cade nel dubbio,
ma poi una mancia risolve ogni cosa!
Incide lunghi passi per terra,
dimenandosi a lungo,
adagia la schiena lungo il corso dei fiumi,
aggancia gli aculei delle dita
sulle poltrone del cinema,
controlla la corsa dei numeri
finché arriva a sette,
poi torna indietro.

sabato 18 luglio 2015

LA RAGAZZA SENZA TACCO.

Oggi quella ragazza senza tacco
si è difesa da sola:
era talmente decisa
ad attraversare la strada...
troppe foglie sul suo cammino,
troppe logge sul marciapiede,
lo schiamazzo è diventato furore!
L'apparizione di tanti schienali
ha trasformato il suo sguardo in spada,
il soprabito in armatura,
l'ossatura in schiuma:
snobbando i gambali degli altri,
si è vendicata su tutti.
Un placido quadretto l'aspettava:
era suo zio "maschera nera"
e la vecchia asina zoppa.
Quella ragazza senza tacco
sapeva bene la sua meta vivente
sopra la vivida luce al di là della strada...
quella ragazza voleva l'asina zoppa
e lo zio "maschera nera".
Così, nel bagno tra le foglie e le logge
svaporò in pubblico le sue sottane...
la tipica alchimia del vapore...
Dolcemente,
pubblicò ognuno dei seni.
Sfiorando l'orlo delle sottane,
attraversò finalmente la strada.
La ragazza camminava sicura,
ben vista e acclamata
al di là della strada...

venerdì 17 luglio 2015

SEI TU CHE TI MUOVI.

Un ingresso più veloce
nella tua caverna personale
rivela con un soffio
tutti i nostri segreti.
Tu sei l'isola del mattino
e ti sei fissata
quella tua collera strana:
l'ingresso nella tua vendetta
è un raggio familiare.
Tu tieni allegria e buonumore,
ma sei fatta di pioggia e di vento.
Trasformi col riso ogni lamento,
ma picchi colpi duri,
con forza animale.
Vegeti la tua partita da padrona:
ti riveli all'ingresso
con fare gentile,
ma alla fine risulta ben chiaro
che sei tu che ti muovi.

SONO RIMASTO SENZA PAROLE.

Sono rimasto senza parole.
Senza distorcere nulla dalla mia figura,
guadagno facilmente forza
e risparmio la voce.
Scorre
lungo la piega laterale della mente
una lunga linea di pace,
un trastullo per il cuore:
il dolce battito del silenzio.
Sono senza la voce.
L'aria descrive col canto,
è vero tutto quello che dice:
la terra è uscita dal vetro,
adesso ha un istante di luce.
La leva del sole al mattino
solleva tutto l'orizzonte
e la striscia, appena incisa,
cede, con un tonfo,
il mio peso alla notte.
Un altro silenzio
mi aiuta a tacere.

giovedì 16 luglio 2015

SONO STATE TRE LE SPERANZE.

Terza parola magica
in una tavola sulla parete
e alto, alto, alto, il fiotto
di un ciclone nero.
Il terzo mercato
presenta affari fumanti
e spesso, anche domani,
finisce il conteggio.
Lavata, spogliata, derisa,
incastrata, nervosa, pesante,
per molti versi presente,
davanti alla scuderia paesana
la folla è vento prepotente.
Dolce, dolce, dolce,
esce dalla pescheria un certo attrito snervato,
sfinito, stupendo,
terzo nel gruppo degli inesistenti.
E' appoggio sullo schienale,
forte aderenza di grasso secco,
vetta di permanenza.
Sono tre i segreti esplosivi,
sorprendenti, attraenti:
le comari accorrono
con le lenti,
si passano la lingua sui denti;
i loro mariti, intanto, distillano vino.
Male, male, male,
l'invidia sul letto,
l'innocenza bastarda del seno,
l'incapacità naturale a ubbidire!
Tre penne per ogni mano,
tre pugni sulle poltrone:
la famiglia è riunita.
Bene, bene, bene,
le conchiglie sfiorano il verde autunnale,
da levante sorgono castelli rosa,
a ponente tramontano mantelli neri,
ogni punto cede, un poco alla volta;
vicino all'asse si stacca.
Sono state tre le speranze,
sono ancora tre le esigenze,
saranno tre anche le assenze.

mercoledì 15 luglio 2015

IL MARESCIALLO SOTTO LA PIOGGIA.

Che bel pipì di nuvole,
ricciolone sparse,
dalle appendici sbavose di bianco
tra le sbarre dei meridiani!
Grande potenza della condensa!
Si sente lontano un suono di pifferi,
nello sbadiglio dell'orizzonte.
Che bel programma d'etere
sulle tettoie delle case
con le loro farmacie rosse
e le sirene sull'uscio!
Grande reazione della pressione!
Cosicché comincia la caccia ai fiumi, ai ruscelli,
ai torsoli delle grondaie,
per spaventare la folla
con le fiaccole in mano,
per intenerire le fessure fatte dai vermi,
ormai stanchi di trivellare...
Si dice
che un maresciallo
affronti l'acqua a mani nude
e,
bagnato,
poi beva del vino.
Coraggio annacquato
di un decorato!
Qualcuno lo ha visto
cogliere i pesci sui marciapiedi,
con certe mani disarmate,
senza nessuna reazione.
Per forza,
il mare è un suo lontano parente...
Che ritmo di danza,
il ballo dell'acquazzone!
Che cioccàre allegro sulle finestre
di goccioline nude, senza sale!
Il maresciallo saluta
e si asciuga.

martedì 14 luglio 2015

FORSE IL FACCHINO DOVRA' RICOMINCIARE.

C'è un convoglio d'uva in arrivo,
un sollecito da parte del vento,
una particola secca per terra.
La membrana del dolore
soddisfa tuttavia e consola
con certe lusinghe brevi...
la battaglia risparmia ancora del sangue
per la pace primaverile.
C'è un grosso carico sotto la neve,
il suo mistero fa dolce l'attesa,
piacevole l'ordine piatto del pavimento.
Il disco giallo sospeso
sta perdendo ormai il suo vigore,
cerca nuove conoscenze
e conduce la sua messianica aurora
alle vertigini tonde del cielo.
C'è un borbottare di voci
sotto certe lucide bolle luminose,
piegate da una violenta manovra serale.
C'è una resistenza ostinata
anche sulle giubbe dei malandrini...
Con molta pazienza,
le lumache sono finalmente uscite.
C'è una serratura adesso da aprire,
una porta difesa da sei generali.
Il bitume della notte condensa la luna.
C'è il coraggio del tordo,
la predica del merlo,
un salotto in preda alla gente,
del rum caduto per terra,
una zolla di terra
sospesa nell'aria.
Il volo del tordo finisce per terra,
il canto del merlo istruisce la terra,
i passeggeri cercano colla trasparente
per non farsi strappare dal vento.
Duramente, il volo penetra a fondo
con la cerimonia dell'incenso bruciato
e l'astuzia del sacerdote è ben chiara:
stratagemmi,
per coprire di peluria verde la terra!
C'è un grosso libro da consultare,
l'albero delle uova da potare,
il pantano del mare da ripulire.
Tutto per ottenere la perfezione ottimale
dalle molteplici riflessioni dell'eco,
di fronte alla parete secca di una montagna.
C'è una fretta di scoppi misteriosi
che non persuade,
non è abbastanza decisa...
Forse,
il facchino dovrà ricominciare

lunedì 13 luglio 2015

MI CONFESSO ANCHE STASERA.

Mi confesso anche stasera.
Dalle virgole dei capelli
alle unghie dei piedi,
sono più di quanto dovrei.
Dovrei nascondermi,
dormire,
alfabetare tutto di nuovo
da solo,
per ritrovare qualche pagina nuova,
un seminario di parole più recenti,
oppure riscoprire idee fossili
disperse nell'aria...
Forse i galli conoscono ancora
l'alfabeto dell'alba
e le serpi l'alfabeto del giorno...
Per me,
il martirio si esprime in dialetto,
il giorno in inglese,
la notte in pigiama.
A spalle nude,
passa un'esponente estranea
alla serata in corso,
una giovane forestiera olandese,
con una cornice di denti molto sviluppata.
Si risolve anche questo incontro:
una sigaretta
e una bottiglia tra le mani...
Si ripete in arrampicata,
due ore ogni sera.
Una confessione musicale
è sempre meglio
di certi balli  sul velluto rosso...
Il balcone degli incontri
si chiude,
sollecitato da un lamento;
mi addormento digiuno.

sabato 11 luglio 2015

IL SILENZIO NON E' SOLITUDINE.

Mai
nessun silenzio
è vera solitudine.
Eccomi,
tempestose Marie!
Brindo l'abitudine,
agito le mani incupite
dalla profondità delle tasche
con applausi discreti.
Eccomi,
odoroso Luigi!
Che razza di funghi bambini
sarebbero mai questi pensieri
se rotolasse il cielo
strisciando un materno abbraccio di serpente?
La mia acuta presenza
sente in pieno
il mio dondolante respiro...
Eccomi,
Mirella dai piccoli seni!
Tanto  valore si detrae
dal mio corpo senza colore,
quanto una solitudine primitiva
spira l'inquieta speranza
di un incontro familiare...
Nessun clamore!
Solitudine?
Carne traboccante tra le foglie,
russare d'aria nell'erba,
bollio serpentino di pelle al sole...
E il male del silenzio
inghiotte frutti proibiti,
finché la folla degli odori
si intenerisce dentro i fiori.
Eccomi,
prateria Giuseppina!
Ti vedo così scalza,
così affamata...
calmati!
Ti aspetto anche domani!
Io non conosco l'impazienza delle nuvole,
io sono un solo soggetto affiliato
e non mi preoccupo certo
perché il mio impulso trema,
ridendo
nello star chiuso nel centro!
Eccomi,
pentolone Mario!
La mia ombra cresce
come un raggio nero.Che sarà mai
questa aurora scura?
La bottega dei richiami
mi ha aperto le sue vetrine
sul collo, dentro le mani,
sottilmente ubbidendo alle leggi del commercio.
 Eccomi,
garzone Ernesto!
Io compro l'occasione della veste
e mi vesto:
dovrò pur possedere un guscio,
nell'armadio personale
della mia persona!
Lo zoccolo del mio piede
rompe il silenzio dei ricordi,
non certo
l'armonia dell'esplorazione!
Eccomi,
dunque!
Ho l'abito della cagnarra!
Nessuna cagnarra
può rompere la morsa della solitudine!
Il silenzio incalza
con le sue ubique assenze
tra le crode, dentro il mare,
persino in salotto!

GROSSO TRAVE INCHIODATO.

Grosso trave inchiodato,
resisti
e salva la mia testa
dall'umidità della sera!
Una donna canta
sul suo altare luminoso:
l'ascolto,
protetto,
al disotto.
Grosso trave verniciato,
io ti guardo
e ti studio.
Apprezzo
il tuo immobile aiuto,
tu sei forte
e mi dai protezione.
Grosso trave domato,
in una gabbia ti hanno chiuso,
nella stessa io dormo.

venerdì 10 luglio 2015

TUTTI QUANTI.

Tutti quanti,
come ci affanniamo e sudiamo
speranze di facili vittorie!
Tutti quanti,
gonfi del nostro seme,
ci castighiamo da soli
a causa dei limiti
delle nostre frontiere!
Tutti quanti,
chiusi nel lavoro,
sappiamo leggere soltanto il manuale
dell'uso delle nostre dita operose!
Tutti quanti
tremanti di paura,
per non perdere
il gruzzolo della ricchezza...
quante innocenti parate
esponiamo alla vista!
Tutti corvi,
tutti neri,
tutti in volo,
la furbizia del nostro respiro
è sociale,
un diametro di frontiera
ci circonda con una gelosia ottusa
e gongoliamo
per il sapore dei nostri terreni rigogliosi!
Tutti quanti
in dieta del lardo del nostro ventre,
sempre ansiosi di raggiungere nuove mete,
usando il mezzo della ruota,
per andare più veloci
verso i miraggi della capitale!
Tutti quanti,
inventati dalla fantasia,
i nostri guizzi sanno di pesce,
le nostre urla di lupo,
il nostro sonno di mare;
nessuno oserebbe negare dentro le case
il dentifricio, i bicchieri, le bollette di carta,
le tovaglie nuove!
Tutti quanti
azzanniamo con gli occhi
e mangiamo col cuore,
dormiamo il sonno delle automobili,
respiriamo l'aria delle esplosioni!
Siamo tutti
un furioso labirinto di favole e di fatti
e poi rinunciamo a tante ore di sole
per la politica, per la televisione,
per le celebrazioni, per vestirci alla moda!
Tutti quanti
furbi, compriamo dolcetti a dozzine
per cercare un diaframma
tra la nostalgia e la pace
e non sappiamo che incombono orribili canti,
presagi di digiuni e malanni
sotto alle finestre illuminate
così a lungo la sera,
fino a notte inoltrata!
Non sappiamo mantenere composta
la linea delle nostre preferenze,
compriamo sempre qualcosa di nuovo,
imitiamo i nostri bambini
noi giochi della guerra e dell'odio
e non sappiamo ancora perdere,
nemmeno quando giochiamo da soli!
Tutti soli,
la regola della solitudine
ci ha educati all'amore;
tutti miti,
la guerra ci ha insegnato ad amare la vita.
Tutti duri,
il dolore ci ha insegnato a piangere,
camminiamo sui pascoli
con gli stivali del pescatore,
vaghiamo tra le pieghe delle valli
con gli scarponi del caprone,
tiriamo al bersaglio,
ridiamo,
diventiamo dei seccatori, convinti
di essere dei conquistatori,
conquistiamo i belati del nostro gregge
con degli atti infami, ma sacerdotali!
Tutti nuovi,
una giornata di pioggia
ci battezza,
la rugiada dell'alba
ci dà giovinezza,
il sole crea nei nostri prati
isole luminose.
La notte ci accoglie,
tutti quanti,
nel suo pantano caldo,
sicuro, scuro, silenzioso.

mercoledì 8 luglio 2015

INSOMMA.

Insomma,
al di fuori
a tagliare il pendolo appena cresciuto,
piccolo segno nell'ombra.
Insomma,
sul bordo
a programmare
l'orario di cena sul letto,
d'accordo all'appuntamento
fino all'ora finita.
Insomma,
al di sotto,
a riunire
i cocci della selezione,
prima che il tempo,
troppo veloce,
spazzi via tutto.

DI GRAZIA.

Di grazia,
camminare tante ore,
raggiungere i giorni,
passare le notti,
non dormire mai
ed agire
coi guanti alle mani.
Di grazia,
vacillare ogni sera,
trattare gli spettri
come fossero amici
e bere con loro
in buona armonia.
Di grazia,
ancheggiare sulle rotondità dell'alba
con balzi felini,
impetuosi
e trottare coi garretti lucidi,
senza conoscere noia né stanchezza.
Di grazia,
partire,
arrivare lontano,
gustare ogni volta
il nuovo arrivo,
fare un cenno, con eleganza,
al  Padrone
e ringraziarLo
della Sua benevolenza.







martedì 7 luglio 2015

LA NOSTRA CONVERSAZIONE.

La nostra conversazione
non viene mai interrotta.
Stiamo incoralliti in barriera
tutti in fila
e ci ossidiamo col sudore della fronte.
Dominiamo la balbuzie
con l'esibizione del canto,
inventiamo intere frasi
con l'arte del bacio,
sopportiamo pazienti
i nostri piedestalli comuni.
La nostra conversazione
ci raccoglie in sistema.
Stiamo impopoliti
tutti in fila
e ci amministramo
con l'arte della mente.
Passiamo le nostre giornate
ascoltando il suono delle nostre parole,
confondiamo impulsi d'odio
con brividi d'amore,
perché temiamo di dover pensare.
La nostra conversazione
non vorrebbe mai finire.
Stiamo insonnoliti a vegliare
tutti in fila
e ci annoiamo con sbadigli frequenti.
I nostri contorni precisi
vorrebbero vestire anche le ombre,
forse soltanto per migliorare le cose.

E' UN CASTIGO OPPURE UN SALVAGENTE?

E' la parola
oppure è il pensiero?
L'agreste dolcezza della sera
dimena le sue ombre flessuose
in uno slancio vitale.
E' il coraggio
oppure è il timore?
La voce che viene da lontano
falsifica il suo vero nome
e si finge mistero.
E' un santone
oppure è un'imitazione?
La terza agave,
sotto il ciliegio,
vorrebbe un pò di sabbia.
E' forse un lamento
oppure una supposizione?
Il nocchiero
guida
la sua barca
con mano sicura.
E' colpevole
oppure innamorato?
Vola vento,
vola gente,
vola al buio
la corrente.
E' un castigo
oppure un salvagente?

domenica 5 luglio 2015

IO SONO UN PIRATA.

Mi godo
il riposo del dito,
lo sbadiglio frequente.
Seduto,
resto a guardare:
non corro così il rischio
di incespicare.
Il galoppo dei sogni
mi fa un pò ansimare:
io sono un pirata,
non mi posso fermare.

sabato 4 luglio 2015

ALLEGRIA E BUONUMORE.

Con la carne soffice dei conigli,
quanta salute,
quanta esperienza di sapori buoni!
Quante muraglie
superate dall'esercito  vincitore
dei buongustai riuniti,
amanti delle frattaglie!
Con la carne soffice delle caprette,
quanta allegria,
quanta abbondanza di polenta gialla!
Che lotta di denti e di lingua
col vino invecchiato,
strozzato dalle bottiglie,
per raccontare le battute migliori,
durante le feste come operette!
Dai ventri affollati,
il piacere della masticazione
risuona
e si sente.
Questa atmosfera di ore liete,
fa venire ancora più sete:
le sedie stanno ancorate per terra,
come incollate.
La carne,
sopra i fornelli,
matura
e s'insaporisce,
tagliata ad anelli.
Allegria e buonumore
fanno passare
ogni dolore.

FERRAGOSTO.

Luce,
il piacere della pelle liberata.
Frinisce Agosto
e corre.
Una tempesta di sole e di vento
spazza il mare
e lascia libero il campo
a chi viene.
La voglia del verde
nutre la sete della vacanza.
Una signora
accompagna i suoi cani sui prati,
poi mangia.
L'azzurro del cielo
si spegne.
Pazienza.
La signora ritorna coi cani.
Il castello,
costruito con tante ore di sole,
si sfascia.

IO DIVENTO UN TELEVISORE SPENTO.

Ho delle curiosità,
delle fattezze strane.
Sogno la sabbia quando mi siedo,
faccio discorsi con la elle davanti,
respiro a fondo all'inizio di Marzo;
ad ogni sospiro,
mi avvolgo in poltrona.
Ho una isterica, malcelata
discrepanza di opinioni.
Assaggio un gelato
e mi sento ibernato,
mi incazzo col vento
e mi sfugge un lamento.
Forse è perché non ho tempo da perdere,
o perché sono indotto al lavoro,
ma spesso mi metto a mangiare
e il golfetto mi diventa più stretto,
i fianchi più larghi,
la mascella più stanca.
E' la nostalgia
di una proboscide mai posseduta,
che mi fa dormire ogni notte
sognando con la esse davanti.
Ho una incerta, alterata,
golosità di agire.
Ho spesso,
quasi ogni giorno,
profonde sensazioni mistiche,
che si esprimono
in scomodità cercate,
in dialoghi serrati con la mia cronica tosse.
Le mie stranezze non hanno confini.
Ho una gamma fantastica
di trovate luminose.
Alla notte,
quando mia moglie spegne la luce,
divento e supero
un televisore spento.

venerdì 3 luglio 2015

PESCI.

Nell'aria.
l'aria.
Lontano,
sopra lo stacco,
il mistero.
Nell'acqua,
l'acqua.
In trasparenza,
nuvole torbide.
Bolle...
Scoppi...
Fruscii di barche...
Scogliere amiche...
Chiglie aquiline,
nasute fessure.
Nell'acqua,
vivi, solenni,
silenziosi,
pesci.
Mai urti,
solo scivoli.
Silenzio d'onde,
brindisi di fango,
trappole di reti...
Devono essere tante,
le uova...

RAMONDA FIGONA.

Al bar,
quello con la televisione alta,
il banco puzza,
per terra si vedono cicche,
ma il caffè è speciale.
Ramonda Figona non permette
a nessuno di ballare
nel suo bar,
consacrato dal mutuo.
Lei gusta il taccheggio dell'esercizio
verso il branco dei consumatori.
Non piange e non ride mai da sola.
Si chiama Ramonda Figona.
Dal torsolo della sua mano
escono promesse di Giuda:
Ramonda al momento
non sogna avventure,
il piede è tranquillo,
il tacco non suona.
Figona ha un nodo al principio
e lo scioglie alla sera.
La chiamano tutti
Ramonda Figona.
Ogni volta
che il dialogo dei suoi clienti
sbocca in effetti di scuola,
il suo ventre diventa duro
come una suola.
E' sbarcata una volta
da un treno d'avorio,
ha giocato subito le sue carte,
spesso finiva in prigione.
Adesso versa vino nei bicchieri,
durante l'estate non dorme mai sola.
Certe mattine di mercato,
o delle volte, dopo l'ora di cena,
i clienti si ammucchiano come lettere.
Come lettere
Ramona li timbra col vino
e li spedisce lontano.
Loro non sanno resistere
alla sapienza della sua mano.
Come piccioni ritornano sempre,
anche da lontano.
Figona esprime la sua gioia
ridendo addosso alla gente.
E' un aereo in decollo,
quando mesce il suo vino.
Ogni volta che qualcuno la guarda
va in picchiata con tutta la bocca,
le mani le muove per fare il mestiere.
La chiamano tutti
Ramonda Figona.
I giochi dei colori,
le pozioni dentro i bicchieri:
macchine per stringere,
per sprigionare il vapore e gli odori.
Le sedie impagliate macchiate di vino,
il conforto dei tavoli coi giornali sgualciti,
le alchimie dei messaggi e delle storie recenti,
i pastelli sulle mani,
il silenzio sconfitto,
uno specchio di dietro,
una marca di birra:
Ramonda Figona
ha tanti bicchieri sul banco.

giovedì 2 luglio 2015

UNA NOTTE D' ESTATE.

Sale il tempo
di un altro gradino:
è una notte d'estate,
novecento percussioni al minuto
fanno una risonanza lontana;
intanto cresce l'erba, col fresco della notte.
Sono sempre stati i grilli
a costruire la musica,
loro la tessono ancora
coi vecchi telai delle nonne.
Imparano e insegnano,
si dedicano a dare un suono
alla festa della vita.
Aiuto,
al buio!
Piante,
sull'acqua!
Una notte d'estate
è una canzone a bassa voce,
chi non dorme
si nasconde dalle zanzare
e si protegge con le mani
dalle loro punture..
Si rende superfluo
anche il rifugio delle coperte:
è una notte d'estate,
si cresce più in fretta,
si protegge col fresco la pelle
e ogni decisione di agire.
Forza,
la canna!
Largo,
il bacino!
Si cerca intanto
di riuscire a dormire.

mercoledì 1 luglio 2015

A SCATTI E A MORSI.

A morsi,
in sogno un allegro cavallo,
una covata di fagiani,
un'allegoria di lepri in corsa;
a scatti,
da una frase la salvezza
da oscure sentenze,
dalle rovine del muro,
da ogni libertà d'azione,
da una cornice di nubi.
La decisione di partire,
di scendere,
di risalire,
sempre in gara,
sempre in gamba,
sempre in festa.
E morsicare:
dentro,
dove si nasconde l'acqua,
l'affilata, degradante
vertigine delle presenze sconosciute;
fuori,
dove esce l'acqua,
la sfarfallante,
generosa
rugosità dell'aria.
Scatti tra le braccia,
sull'erba,
a cavallo,
per conquistare la carne di un'altra giornata,
per inventare un altro scherzo,
per parlare di nuovo,
piano,
sotto le foglie
di un grosso acero rosso.
A saccheggiare il tempo
come cani feroci,
noi stessi e le nostre tasche sfinite.
A scatti,
chiedere l'ora ad ogni orologio,
a morsi,
disporre del pane più del piacere
e mettere le mani
sugli schedari delle cucine,
restando alla fine
inchiodati tra la periferia e i confini.
Senza gli occhi,
non si sovrappone nessuno alla luce,
nessuno,
senza un permesso,
può accendere candele.
Un invito al sole
dà uno scatto
che bisogna trattenere come un segreto,
scivolando sotto il tavolo
per godere dell'ombra del legno.
Anche restare in vista è uno scatto,
guardare è un morso,
si nuota per non traboccare.
Il fulgore stempiato della scienza
si mostra ad ogni caduta di foglie
e non serve a niente
se non all'asino
che lo governa.
A morsi,
ad ogni tratto,
l'oblungo schienale del giorno
tende l'arco della sua carezza;
a scatti,
riemergono dalle credenze
ghirlande di perle nere,
convinte e decise
di poter resuscitare per sempre.
Quanto piacere
consumato ogni giorno
a morsi,
a scatti,
per riuscire a dormire bene
tra i sogni e i risvegli,
a discorrere con la musica sotto la lingua,
vivacemente sorpresi
di ogni minimo spruzzo di pioggia!
Sulle piastre degli abiti
o tra le cornamuse delle strade,
restare soli a guardare la Luna
e passeggiare a scatti,
dolendosi della distanza.
Ritornare a casa
per strappare a morsi
una biccherata festosa
e gradir sempre volentieri
un nuovo ricciolo fresco tra le mani.
Il vento dei pensieri
muove le tende,
esce dai balconi.
A morsi
sbranare la nebbia,
a scatti
scavare più in fondo,
chedere al Sole nuove promesse,
proporre alla Luna
nuove stravaganze.