venerdì 29 maggio 2015

L' EFFETTO CRUDELE DELLA PUNTA DELL'AGO.

Se fosse per un solo giorno,
potrebbe cadere dall'alto
la probabilità essenziale:
una specie di regalo o di ricordo,
una pratica di tasselli incastrati,
un sogno sopravvissuto.
Se si trattasse di una migrazione,
sarebbe l'inverno precoce,
l'alba sulla terraferma,
il timore dell'oblio.
Vale purtroppo
la perenne costanza del male,
l'orrore dell'incertezza,
la ferocia maligna
del becco a forma di naso,
l'effetto crudele della punta dell'ago...

IL MIO CORPO ORNAMENTALE.

Forse è una trappola
il mio respiro... ogni volta
la sua emissione
si fa più stringente...
Tengo testa alla morsa acuta
delle pulsazioni con la volontà
di esercitare un ruolo dolce e molle.
Altrimenti,
non mi darei autonomia d'azione
e nemmeno riuscirei a forgiarmi
un corpo plastico e moderno,
conforme a certe aspettative
provenienti da posizioni alterne
alle parentele.
I ricordi sono cresciuti
come fragole in mezzo all'erba
e da ospiti nel viaggio,
si sono trasformati in guida
e poi in bersaglio.
Ragiono pur di scoprire
varie via di uscita
e con la prudenza
dei miei arti sviluppati
elaboro forme sempre
nuove di tane e nascondigli.
Proteine e zuccheri
costruiscono nella mia mente
sature disposizioni
e mi abbandono al sogno dell'avventura
usando le leggi ferree della pianura.
Assorbo l'aria del mattino
con un lungo sorso di avviamento
e poi mi metto in moto
nell'impresa tumultuosa
dell'articolazione...
Articolato
e ricco di retaggi,
vivo il passato nel suo divenire,
superando il presente
con scienza d'indovino,
fintantoché riuscirò
a trovare il modo
di rendermi quieto
e ornamentale.

LA RECLAME DELLA CUCINA.

E' stato fatto reclame
al rifugio della cucina,
eppure una volta
era una grotta segreta...
Quando la notte entrava nella cucina,
una quercia espandeva
il suo ampio respiro di Luna.
Adesso la reclame
ha portato allegria,
ma il tappeto firmato,
l'acqua domata,
la luce rubata,
la notte scacciata,
alla fantasia hanno vietato l'entrata.

TUTTO ACQUISTA QUALITA'.

Un umile sottofondo di speranze
è una striscia dentro il cuore della gente.
Forse l'uncino dell'amicizia non servirà per sempre,
forse la punta del buonumore resisterà ancora,
forse l'assicurazione del prossimo futuro vincerà le previsioni.
Un circolo di mani segnate dall'ansia
si muove contro il cielo.Un totem custodito da un cardinale
sfolgora lampi di senno divino.
Una voce celestiale sprigiona serenità
e tutto acquista qualità.

I TUOI SPASIMANTI.

Tu sei sola,
le tue parole cadono sulle brillanti idee
e offri varietà espressive con frasi
incrementate da mosse attitudinali.
Tu sei colma
di ricordi di boschi, ne hai
l'immagine nei capelli e nella voce,
ma nell'ampia scollatura
scopri sferzanti promesse adulterine.
Tu sei semplice,
espliciti i discorsi con frasi
ambientate presso il parrucchiere.
Tanti folletti ti toccano la pelle
contendendosi l'un l'altro i tuoi favori.
Tu li annienti, ruotando gli occhi
come un faro luminoso.
Tu sei un'ostrica.
Di fuori è impossibile forzarti,
dentro sei molle come l'acqua.
Il numero delle uscite ti condiziona.
Dai appuntamenti bugiardi
e ti neghi al sole
per non farti trovare.
I tuoi spasimanti ti cercano dappertutto.
E' facile smarrire la strada
dietro le tue labili tracce.
L'ora x ti fermerà per sempre.

UNA SERA DI CHANCE.

Una sera strana è caduta in piena evidenza
dietro le fauci spalancate del viale cittadino.
Eppure non c'era nebbia, né intoppi
di traffici illimitati.
La causa forse è stata l'indifferenza
nei confronti della Luna;
sempre le stesse forme, gli stessi colori,
le stesse dimensioni...
Così, dopo l'indiscutibile sforzo del Sole,
le nuvole hanno assunto il colore della vinaccia.
Una luce di mosto ha percosso il cielo
a guisa di apparizione e di chance...

giovedì 28 maggio 2015

MI ALZERO' DALLA POLTRONA E BALZERO' NEL LETTO.

Il disegno... anch'io... riflesso, non dimentico,
indomito, fuori dal fumo a piombo,
l'accusa ingrigita, volata nel tempo.
Si dice scuola e poi lo faccio io.
La scopa è ritrovata e questo è quanto.
Grazie a chiunque per la bella presenza.
Lo dico anch'io, che sono fatto a righe corte
e di colore azzurro...
In quanto a nucleo, niente, per sempre, ma se
possibile, ancora novità.
Un invito di fumo mi fa sognare fuoribordo
per un secolo di ferie e ancora avvengono
programmi sconvolgenti di razzie brune,
dentro la popolazione successa negli ultimi giorni..
Io non dico di non stare in colonna...
Rinuncio volentieri alle repliche del dolce...
La mia corona azzurra si stinge, ma
in compenso accendo il fuoco di rosso
e scatto giovialmente con la compagnia della
festa. Non faccio nessun male ad alzare il
tono della voce, se nessuno mi sente...
A chiavi, gli ultimi mi faranno un'avventura
semplificata dall'isolamento; io mi arrenderò
davanti ad un punto simile ad una cisterna,
distratto dalla profondità mal misurata.
Se non troverò una compagnia competente,
mi alzerò dalla poltrona in un attimo
e balzerò nel letto!

I TECNICI SI MANGIANO UN PANINO.

Niente va contro il cielo,
né la corteccia rubacchiante luce
dell'albero golosone partito giù dal basso,
né lo zenith picchiatore
di certi raggi di sole
che fanno tanto bene...
Soltanto i tecnici esperti di cultura
tentano con mezzi senza scampo
di collegare parentesi di meridiani tra di loro:
per i loro tentativi usano onde
immesse nello spazio
e da quelle imprese
escono con sorrisi fiduciosi.
I tecnici stanno chiusi nei laboratori
e non conoscono tutti i segreti del cielo.
Per questo se ne fanno un baffo
e a mezzogiorno si mangiano un panino.




QUANDO LA MIA SPOSA.

Quando la mia sposa
si accompagnerà alla musica
della cucina rettangolare,
fischiando i motivi dell'argento
per essere più che miss
tra i vassoi della credenza,
allora entrerò anch'io
con passo di girotondo
e voce dal timbro di rame,
occupando un posto preminente
in mezzo alle ceramiche dei piatti.
Spumeggerò vapori vinosi,
ardendo vita più che una candela.
La musica della cucina
ci vorrà consolare, levandoci di dosso
tutte le note sabbiose che ci dividono,
poi noi ci disporremo a mangiare,
per conservarci lontani dagli alterchi
e temprati, più duri dell'acciaio.

LA NOTTE INVERNALE.

Nella sera d'inverno,
con la schiena carica di freddo,
i soli punti caldi sono le stelle nel cielo.
Non accade niente.
Il freddo geme un dolore di ossa
indurite dalla roccia primitiva,
mentre la neve rattrappisce anche l'erba.
Un brivido colmo di forza
scatena una forza senza vita:
è la notte invernale.
E l'inverno si presenta
effondendo il suo fiato sterile:
il fiato dei precipizi
scende dalle scarpate ripide della roccia
verso le vallate ingorde di sole
e poi penetra con una lingua nera
in ogni fessura sorpresa a sfiatare calore
e ruba, ruba,
nasconde il timore della lontananza
negli occhi furbi del gatto solitario
e del corvo, sopravvissuto al dominio dell'uomo.
L'uomo,
più di ogni altra cosa
teme l'orrore della fine.
Egli si nasconde
nel guscio caldo della sua casa
e aspetta ad uscire
finchè il sole non offra ancora
il dono della primavera.

IL PROFILO DELLA MADRE ERBA.

Sui lunghi confini degli allevamenti,
uomini con le proprie scarpe
si pavoneggiano, per farsi notare
da qualche donna
e le donne affilano unghie e colorano capelli
per poter abbassare in breve tempo
qualche nuovo pantalone.
Il calore succulento delle pentole,
contrapposto alla televisione,
effonde d'intorno un ottimismo di fiaccola
e un'intimità di segrete confidenze.
Lungo tutte le sfilate delle siepi superstiti,
il profilo della madre erba
appare appena,
sollecita i raggi del sole
e si sfuma nei riflessi delle nubi.

mercoledì 27 maggio 2015

L'ACQUISTO.

Una visita semplificata,
in concerto con la pienezza dell'orario.
La conchiglia del manuale
sollecita rapporti d'affari.
Vendite di confezioni
scelte fra le favorite.
Davanti, una buona dose di risparmio
e dietro, una lunga scia di sperpero.
Un primo personaggio non basta,
per questo affluiscono i contraenti.
Ogni volta c'è aria di vittoria,
di felicità fatturata.
La salvezza degli sconti
copre le delusioni dell'inganno.
La merce scoppia con l'affare,
il portafoglio scotta.
Qualcuno lo vuole,
un altro lo nasconde.
L'acquisto diventa perfezione,
il cliente si protegge.
Chi ha venduto
si allontana,
chi ha comprato,
torna a casa.

FESTA DI COMPLEANNO.

Lui aveva detto di avere un regalo,
una cosina preziosa da mettere al dito.
Glielo diede più tardi,
passò quasi in mese.
Quella lunga attesa fu premiata
da una entusiasta sorpresa.
Per ringraziarlo, lei con lui
era stata carina.
Erano una coppia unita che si voleva bene,
ognuno dei due non stava mai senza far niente.
Appena faceva buio andavano a letto insieme
e più di una volta lei fu la sua amante.
Assorta nel battito del proprio cuore,
viveva in parentesi, senza guardarsi allo specchio:
lui pareva un mastino a guardia del loro amore.
Assorto con lei, non si accorgeva che il tempo passava.
L'uno sempre con l'altra, vivevano insieme
e non capivano di star troppo vicini;
se ne avvidero un giorno, andando a un convegno.
Giorno dopo giorno le liti si fecero frequenti,
la gente li sentiva litigare giù in piazza;
lui la batteva, lei dava in lamenti,
di notte aveva degli incubi, come una pazza.
Aveva detto alle amiche che ci voleva del tempo;
più il tempo passava e più lui si faceva violento.
Approfittò del suo compleanno per farlo contento
e gli fece la festa, senza neanche un lamento.

NON STIAMO BENE IN SILENZIO?

Ho svolto uno speciale
argomento per te,
si può dire un regalo
in forma di dialogo,
un codice plusillabico
a forma incrociata
e rientrante: così dal salotto
siamo finiti nella camera.
Tu c'entri?
Potrei dirti "gilet",
così comoda e calda...
mi piaci se taci...
adoro guardarti...
Attenta, te!
Io ti guardo,
guarda come sono,
alzati in piedi...
muoviamoci un poco...
Ad ascoltarmi, mi viene sete.
Un tuo fischio mi avverte
di fare silenzio.
Approfitto della mia generosità
per servirmi da bere.
Cosa segni,
cosa dici,
ti sei forse spezzata il cuore
da sola?
Adesso non parlo,
andremo fuori insieme,
rimani seduta...
Dimmi tu, ora:
non stiamo forse bene in silenzio?

martedì 26 maggio 2015

LA STRADA.

C'è un intreccio metrico
nella strada molto dotata
d'alberi lungodegenti,
poveri poveri dimenticati
da ogni sigaretta spenta,
gettata di lato  nel fosso.
C'è un'inverosimile
anima nera
lungo le curve slacciate
della strada molto solida
per sostenere passaggi lunghi,
incredibilmente pesanti,
grossi grossi autocarri
avvinti nella corsa
controllata secondariamente
da orologi con ore e minuti
armati di inflessibili barre.
C'è una corrente incanalata
per un percorso da viaggiatore
e una corrente trionfante
per un arrivo puntuale,
c'è una corrente feroce
per contrattempi tardivi
e una corrente di guida
per le gite festive.
C'è anche una fine
nei punti della strada
che la definiscono tale:
piccoli piccoli punti invisibili,
o lunghe tabelle di bivio.
C'è una partenza
che conduce lontano
e un arrivo
che viene da lontano.

IL MAGAZZINO LUCIDATO DALLE SCOPETTE DEGLI INSERVIENTI.

Prima che finisca il giorno
e che un'altra botta di gente laceri il pavimento
lucidato dalle scopette degli inservienti,
in magazzino tremola una luce superstite.
La luce che tremola finché inizia il giorno
nel magazzino dai cancelli chiusi,
con il pavimento lucidato
dalle scopette degli inservienti,
si sta spegnendo.
Un altro giorno affiorerà
davanti ai cancelli chiusi del magazzino
dal pavimento lucidato
dalle scopette degli inservienti
e così un'altra botta di gente
verrà a lacerare il pavimento lucidato
dalle scopette degli inservienti.

UN GOLFINO CELESTINO.

Accaduto d'improvviso e finito nel sorriso.
Avvenne che un golfino celestino fu risucchiato pian pianino
lungo il corso cristallino di un torrente transalpino.
Una serie di bambini camminavano vicini,
al comando di un simpatico signore, che faceva il professore.
Il golfino celestino apparteneva al più piccolo bambino.
Per fortuna una serie di rampini fu affidata a tre bambini,
che agganciarono il golfino e lo diedero al bambino.

IL CANE DELLA SERA.

Il cane si priva della sua bruttezza
con bruschi scatti di collare
e un rullio permanente della coda.
L'astuzia fluisce da zampa a zampa,
in una corsa elegante e piena di grazia.
L'ironia dei gatti verso quel collo
morsicato dalle pulci, diventa evidenza,
ma si maschera di cortesia.
La saliva in bocca non è più saliva,
ma grumi d'erba misti a terra.
E ciò che sarebbe l'effetto presente
di un futuro incipiente,
avviene nel pieno della sera,
non sapendo come, non sapendo perché,
non incontrando neanche un altro cane.

lunedì 25 maggio 2015

IL GHIRO BIOLOGICO.

Sale, faticosamente, il ghiro biologico.
Inghiotte ore di riserva,
viaggia solo per mantenersi ozioso e ghiotto.
Va avanti in salita senza fare fatica,
non si diverte mai.
Il ghiro biologico
diverte l'ignoto viandante
che abbonda di virgole e si chiama quattordici
e che chiama a marzo tutti i nomi dei suoi amici
e, malgrado questo, ogni sera resta solo.
Il ghiro biologico
si rosola ogni domenica
come un violino espirato
tra siepi sbarbate da un taglio radente
di una comunità radiofonica.
Languidamente,
il profilo
del ghiro biologico
si addolcisce con l'arrivo della sera
e improvvisa alcune movenze musicali,
senza forzare tuttavia,
come un comune ciclista arretrato.
Ma di campana in campana,
il tempo corre e la strada si fa più lontana.
Sconosciuti
spiano furtivamente, senza farsi vedere.
Il ghiro biologico
vigila in riposo
e chiama una vicina abbondante
che non arriva,
non sente,
non fa proprio niente.
Il ghiro intravvede ma non definisce
quelli che restano a tana,
quelli che fanno un saluto,
quelli che domani vanno lontano
e che invece restano sempre
e che sospirano torno
e che alla fine vorrebbero andare.
Il ghiro non li vuole ascoltare;
tanto, lui sa già cosa fare...

LE STRADE LUMINOSE.

No, non si vedono orme sulle strade deserte.
I cittadini non conoscono né il principio né la fine,
ma camminano, vanno volentieri,
di conoscenza in conoscenza
si illuminano di piacere,
sono pressati dalla fretta e dall'illusione.
No, non bazzicano orme a nessun livello,
purtuttavia le strade filano lisce,
ricche di luminose persuasioni
a favore di ogni cittadino al traguardo della luce.
No, non si può sapere la posizione della luce,
ma basta far domande ad ogni incrocio,
bisogna affidarsi al brivido dell'ignoranza
e seguire tracce indebolite,
ormai quasi spente,
nei punti dove nessuno guarda,
nelle strade dove nessuno passa.

UN'ALTRA VOLTA, MA PER SEMPRE.

Accanito,
incarcerato nel mio trapezio sconfinato,
gingillo zucche poderose
dentro una fortezza
nominata rifugio per la notte.
I suoni fanno eco
ai getti lunghi della pioggia
e la forza della terra
nasconde nell'argilla segreti forzieri
di perle e di monete.
Immerso,
risalgo verso il bordo
di un'economia giornaliera,
racconto il riassunto
delle volte precedenti
non per altro, ma per annunciare
la fine della notte.
Dissolto,
mi nomino un'altra volta
partecipe e presente,
poi oltrepasso la soglia insidiosa
del geometrico futuro.
Deciso,
formo un "oh" rotondeggiante
alla fiera dei sorteggi
e divento predatore di lamenti.
Intenso,
immergo la mano
nella conca dell'autunno
e faccio strada
un'altra volta, ma per sempre,
ai programmi
che promettono guadagni.

domenica 24 maggio 2015

UN'ALBA AUTUNNALE.

Scivola sull'acqua un'alba fioca,
ancora imbevuta del polline della Luna.
L'aria sale dal livido fiume
e annuncia un'amicizia più forte
delle liti rabbiose della notte.
Superstiti foglie
rintoccano a terra.
Magri raccolti d'erba sopravvivono
al tormento della nebbia,
maschere di cercatori
vanno per le campagne
sprofondando nel fango
pur di scoprire qualche fungo.
Il mattino sopravviene poco a poco
e il Sole, quando sorge,
sembra un fuoco.

ANDAVA A FARE UNA SPESA METROPOLITANA.

Andava a riempire la borsa vuota
con le profonde diramazioni
di una spesa metropolitana,
ignorando totalmente
i fraseggi indicibili
dell'ingombrante fiumana
di popolazione urbana.
Andava giungendo da fuori,
sovraeccitando la mano
in una borsa di paglia
intessuta in un paese lontano
e sfuggiva il caldo contatto
che automobili e autobus
andavano cercando,
con piccoli salti, lunghe fermate,
rapide corse.
Un pettirosso l'aveva accompagnata
fino alla stazione centrale,
poi era sparito.
Lei se ne accorse
quando chiese l'ora a qualcuno,
uno qualunque del mucchio:
erano tutti sicuri dell'ora che era...
Andava penetrando a fondo
nelle aree sovraeccitate del centro,
dove i tappeti volanti
non erano sogno
e i saltimbanchi scorrazzavano
con le loro chitarre pedonali;
i mercanti campagnoli
libravano ali di tacchini
su banchi guarniti di polenta.
Andava accodandosi
alla gente di fuori
con quella di dentro,
che compravano tutto
con il gusto tenero dell'ingenuità
e si incontravano davanti
ad un grumo di noci
o ad una offerta di fiori.
Andava credendo
di essere uscita dal centro
ed esser tornata di fuori
e cercò il pettirosso
che l'aveva seguita,
ma non c'erano uccelli,
né si vedevano alberi;
tra i banchi di legno
si vendevano uccelli
che una volta volavano
e s'incastravano mobili
che una volta erano alberi.
Andava cercando
nuove occasioni di frantumazione
e animata da un incipiente coraggio,
entrò in un grande negozio
seguendo la pista tracciata
dalla catena di montaggio.
Andò scorrazzando molte ore,
vendevano tanto
e lei comprava poco,
ma i soldi finirono presto.
Andava cercando
la via del ritorno,
chiedendo permesso prima di sera,
ma la luce metropolitana
mascherava il buio:
per questo tutti
avevano l'orologio...
Andava affrettando il passo
e si accorgeva
di essere davvero
una donna moderna.
Andava,
pensando che la volta seguente
ci sarebbero voluti più soldi
e una borsa più grande.



sabato 23 maggio 2015

GLI INCONVENIENTI DOPO L'ARRIVO.

L' arrivo d'avanguardia
si sfila sotto un'essenza di viola,
temeraria e non sufficiente
ad annettersi l'accesso.
L'abbrivio d'ornamento
comincia sotto i roveri
di un viaggio annaffiato d'avventura,
sfogliato dalla suggestione dell'inizio
e a poco a poco
interessante
per l'avvolgimento in gomitolo
degli stessi avvenimenti.
L'urto dell'incontro
si confonde nella rapida
successione degli eventi,
sfugge a imprevedibili
decisioni di contesa
e apre a guscio
un sorriso soddisfatto,
crescente,
a forma di belato travolgente.
Poi un branco di sorrisi
attesi appunto come costante,
ad esempio
per sfumatura di tramonto,
per difetto di battaglia,
per diletto di allegria,
per ritorno di lavoro...
L'arrivo sopravviene
accampato presso giacconi di colline
servite da evolute avventure cortigiane
e molleggia l'uno all'altro
alcuni, forse troppi,
inconvenienti.

LUCE DECADENTE.

Penombra, scesa
sulla noia della strada asfaltata;
chi cammina, si circonda di mistero
e non proviene da nessuna direzione.
Luce decadente,
entrano bagliori soffocanti dalla nebbia,
quando previdenti massaie
deducono la fine del giorno
dall'incalzante tramonto sul davanzale.
Penombra dimenticata
da chi, raggiunta la porta dell'osteria,
vi entra ignaro di cadere
nelle trappole della notte.
Accadono fatti imprecisati,
quando la luce perde la sua forza:
la pelle cambia il suo colore roseo
e decàde, poco a poco,
in sfumature scure,
non di uomo, ma di lupo,

PIU' SONO LE RIVE CHE CONOSCO.

Più sono le rive che conosco
e maggiore si fa la mia esperienza
di odori di erba fradicia.
Mi trovo dinanzi
a tramonti di muschio
e ad insistenti variazioni d'ombra.
Una nuova educazione anfibia
mi conduce nel fango
e, guidato dalla mia cultura gorgogliante,
sprofondo impavido nel fosso.

POTREI DARMI PRIGIONIERO AD UN BADILE.

Un tributo
che potrei dare
alla mia causa girovaga,
vagando col bocchino nella tasca,
potrebbe essere
di darmi prigioniero ad un badile.
Potrei così sotterrare nella terra
molte sementi esultanti,
giunte in mio possesso
durante il mio cammino
nel labirinto dell'agricoltura
e sarebbe mia soddisfazione
scoprire arcani sottoterra,
forse addirittura le tracce
di quei scivolosi costruttori ciechi,
caduti nella notte dallo spazio
e nascosti innanzi all'alba
nel grovigli misteriosi
di tuberi e radici serpeggianti.
Le opere della mia grezza archeologia
si sfalderebbero appena esposte al sole,
ma col mio fiuto tridentino
conserverei lo stesso
tutte quelle forme
che non temono la notte.
Se poi il mio istinto girovago
mi dovesse ancora cogliere e rapire,
baderei a portare sempre con me
il bocchino nella tasca
e un badile nella mano.

venerdì 22 maggio 2015

IL FASCINO DI UNA PENNA.

Una penna
mi affascina
come una donna,
forse perché
la donna è uscita
dalle pagine di un romanzo
e la sua pelle è liscia
come la carta sottile
di un'edizione pregiata.
La donna ha nella bocca
la stampa del proprio nome
e la usa ogni volta
per sedurre gli ammiratori,
che la scrutano attentamente.
La penna
riproduce certamente
anche le sensazioni notturne della donna
e non c'è  penna
che non si adatti alle sue vibrazioni amorose.
La donna,
invero,
ha dei colori azzurrini
che nascono dal cielo,
ma la penna ricorda ogni sfumatura
e illumina la notte
con gli accesi colori
di infiniti ricordi.
La penna,
infine,
determina il sesso
con sconcertante chiarezza
e si asseconda agli umori
di ogni circostanza,
similmente alla donna,
ma con più precisa evidenza.

giovedì 21 maggio 2015

LE REPENTINE LUCI INCALCOLABILI.

Anch'io
conosco certe luci
che balzano tra le siepi,
s'infilano furtive
tra le fessure sbiadite dei ligustri,
cadendo poi sfinite lungo i fossi,
trascinate infine
dai rivoli rugosi della corrente
sopra terre appena arate.
Quelle luci
che conosco
non ubbidiscono agli orologi,
né ai campanili
ed hanno vita breve,
come i funghi
delle notti piovose senza vento
e i fiori del campo desolato.
Le luci che conosco
sembrano nascere dalla rugiada,
appartengono certamente alla nebbia,
si presentano puntuali
agli incontri con la luna.
Potrebbero forse essere i riflessi
delle stelle e come queste
incalcolabili.
Queste luci
si lasciano osservare
da chi possiede
lo sguardo vigile del pescatore;
infatti hanno l'agilità dell'anguilla.
Per questo sono repentine e incalcolabili.

LE BALDANZOSE SORELLE MILLENARIE.

Non vale tanto il doppio seminato,
per scompigliare l'aria piena di papaveri
e di foglie aggrovigliate,
quanto i periodi lunghi dei semi addormentati.
La zazzera bruna del tempo
scommette con la luce la sua ricchezza
e il gioco si scioglie
in un ingorgo di gioielli rifiorenti.
Una parte del vento accarezza l'erba,
l'altra incuriosisce l'erpice
con l'estro della sua agilità.
Escono, finalmente liberate,
le baldanzose sorelle millenarie,
lucide, splendenti di riflessi fangosi,
cantando certamente insieme.
Ma dal loro canto
non si possono ricavare canzoni;
nel frattempo, senza fretta,
un contadino avanza,
col badile nelle mani.

GLI OGGETTI INUTILI.

Gli oggetti inutili,
che rendono belle
le cucine degli architetti,
evidenziano le grucce spostate
dagli allievi dei cani
e danno sordi rintocchi di campana.
Questo nel tempo di lungo riposo.
Ma quando
gli oggetti inutili
vanno sfumandosi in piacevole ricordo,
durante le cene di soprassalto
o le discussioni familiari,
allora
la marea delle loro vuote inutilità emerge
e, gonfiandosi,
marezza poco a poco
tumide promiscuità naturali.

DOPO AVER SCHIAFFEGGIATO IL PETTINE.

Dopo aver schiaffeggiato il pettine,
la zucca rintrona avocando
un suono chef tagliente,
severo.
Schiaffeggiata, nella maniera
dell'urlo e dell'apocope,
una macchina trema e sfigura:
"Giulietta, non andare da sola!"
E chi vorrebbe parlare
all'infinito, tra il passato del greco
e le lingue malate di vento?
La mandria parla italiano,
viaggia su rocce dal tacco calvo,
eppure non impollina l'estate
nemmeno una volta.
Allora, evviva!
Soprattutto perché avvisando l'allegria
succederanno scoppiettanti futuri,
succederà il riposo.
Dopo il riposo sarà una franca risata
cancellata sotto l'erba
ceduta all'orizzonte:
il fieno,
vissuto nuovamente
al vento sapido del cortile,
utilizzerà ancora
il calore dell'utilità.
Sviando cocche
si sviano e si perdono bambini
avvezzi al perdono,
poi mamme e coraggiosi giochi
con solide funi.
Se un'acqua poi uscisse furibonda
per armeggiare col sole...
Ma non c'è niente di là,
che incoraggi gli armeggi.
Perdono per le sempre solite feste
e perdono per il vagare perduto
da tante biciclette smagrite dalle corse!
Dopo di allora
più mai sorprese, tra gli abbaini socchiusi
nella villa sviata dall'abbandono
e le feste cadenti
che non avvengono al momento giusto...
Dopo un poco
che il cestino rifiorisce- se rifiorirà-
l'ottimo furoreggia di nuovo- da sempre-,
per forza duplice di canto e di umore.
Allora che venga- se viene-
il peduncolo seminato da quel fiore
che nemmeno ha conosciuto l'Aprile!

mercoledì 20 maggio 2015

L' INSETTO DAL COLORE DELLA ROSA.

L'insetto
dal colore della rosa,
dorme in attesa del sole.
Chi mai
potrà essere sicuro
dell'innocenza del suo sonno?
Chi ancora
vorrà conferire prestigio
alle conquiste insaziabili
di quella piccola ombra in volo?
L'insetto
dalle zampe di fune sottile,
uscito senza peso evidente
dalla scura barriera della notte,
vola, tranquillamente sospeso.

L' INSETTO MORENTE.

L'insetto sperduto nel mondo incorniciato,
ritrova paragoni ad ogni nuovo volo
e disperde tra i fiori
le evidenze purpuree delle sue ali.
L'insetto morente dalla goffa andatura,
chiude il suo cielo decifrando il sole
e miete orrore con l'uso del lungo pungiglione.
L'insetto duro, agonizzante,
batte la sua morte
con un martello di lenta caduta.
Perduta la spada,
perduta l'ala,
gli rimane la forza
di tessere ancora
l'elettropuntura del proprio peso.

L'ARTE.

L'arte,
nelle sue
varie forme,
è da una parte
l'espressione
mediata
della realtà
tangibile
e dall'altra
l'evocazione
immediata
della realtà
intangibile.





IL GIOCO DELLA FAMIGLIA.

Il gioco della bottiglia di vetro
esalta spazi ribaltati.
Magiche colonne, rimosse
sotto sbuffi di càmici bianchi,
balletti di nasini arcuati
davanti a specchi sbiancati dal pianto,
s'invola tutto
inevitabilmente
a causa dell'indirizzo straniero del tempo.
Il tempo squadrato
dalle meraviglie della folla
s'infesta di zucchero
e festeggia giornalmente Aprile
per darne tempora di famiglia.
Come non entrare ed uscire
dall'uno all'altro degli ingressi
chiusi da un solo fazzoletto rotondo?
Come non applicare
rosoni greci alla abitudini moderne
dei bambini degrecizzati,
non più vestiti da tuniche bianche,
come non godere,
ridendo della loro paura moderna?
Il gioco della bottiglia
va alle stelle,
evapora nello spazio,
scurisce pieghe ondulate,
contempla lungamente l'addome biondo
vagheggiato dalla folla
per il mese di Aprile,
il tutto nell'intimità della famiglia.

martedì 19 maggio 2015

LE REMOTE POSSIBILITA' DELL' ORARIO INCONSUETO.

Aspergendo toccasana di rabbia,
un tumulto a gogò bullonava il soffitto
a rulli poliedrici,similmente alle gole.
Su tutto i belli, dagli occhi a crisalide...
Zigzagando dall'insenatura,
scendevano avare strilla
e singhiozzi a miscela.
Simpatia su quelle facce appuntite...
odorosa spumiglia d'arto contr'arto...
L'ardore sbolliva ammansito,
finché c'era ancora del fiato.
E questo perché adesso è feroce,
ma allora non si invadevano mica
così facilmente
le carrozze nerazzurre,
campanacce dalle ruote lunghe,
inverosimili e rotonde!
Evvia, che potrebbero ritornare
i borsetti dell'avant'ieri
con certi trenini dorati!
Ma adesso è cattivo,
sbaciucchia limone per fare l'impegno
e vende a sentenza
burro e quello che c'è.
Affatica, affatica,
si arrabbia le dita,
adesso si morde,
palesa una personale penetrazione animale!
Erano le lunghe frenate
per stare seduti,
le panchine misericordiose,
i becchini ingordi di pane,
le remore possibilità
dell'orario inconsueto...

SOGNAVO IL MARE.

Sognavo il mare
facendo ginnastica
e coincideva tutto:
l'armonia del movimento,
la pelle schiumante sudore,
le bollicine sul naso.
Un raggio di sole
mi penetrava attraverso le vene
fino al fondo del cuore:
ed era l'abisso.
Una tiepida brezza
completava il mio sogno,
talché provavo un appetito
di pinne e di pesci,
al punto da farmi squadrare
la zuppa sul piatto
come preda di mare.
Il sonno
si caratterizzava
in un dondolio di naviglio.
Beccheggiavo dormendo
e ondeggiavo russando.

LA CANDELA.

La candela
ha il respiro fine
di un mondo solitario:
stella sulle vette,
frattura di mondi lontani,
luce di terra inesplorata...
La candela
sussulta di piacere
e col fuoco
si intrattiene...

lunedì 18 maggio 2015

GLI OGGETTI CHE NON SERVONO A NIENTE NON SI ROMPONO MAI.

Gli oggetti che non servono a niente
sono utili ai cacciatori
prossimi ad albe ricche di rugiada.
Sono oggetti battenti con ritmo di piccozza,
dimenticati da ogni razza di respiro.
Le tracce si identificano
in forme di dente e di osso,
ma separate comunque
dalle forbici taglienti dell'illusione
e si muovono marciando debolmente,
fuori da ogni crescita;
piano, forte, larghe siepi li dividono
dal nervo dei pannelli ricoperti
in virtù di tutine minerali
ben mimetizzate.
Tutti gli oggetti che non servono a niente
ricorrono all'estremo rimedio della caduta
e volentieri,
come spiega la parola,
non si rompono mai.

IL CIELO SPIEGHERA' OGNI COSA.

Cade l'acqua sulla bocca
più fucina o mandolino
e grazie a chi l'inghiotte;
tutto si perde,
ritratto in labbro superficiale.
Canto d'uva o di muschietto...
sprizzano gli occhi
di lacrime d'oro
e poi un guizzo...
o magari un senza fine!
L'umido sotterfugio del fiore
balbetta fantasia di sole,
importante come un vecchio microsolco,
piacevole pur senza tante parole.
Eppoi il fluire del tempo dentro al cuore,
il cielo illuminato ancora...
e l'ombra, ancora...
Niente per una briciola o una ciocca,
pur di difendere il timore
che ferro e vetro diventino ghirlanda.
Ogni giorno nuovo
porta parole nuove
a frotte, a fronde,
a groviglio di seme
e ciò che resta
sta bene,
si muove,
usa sempre la sua chiave.
Le gemme della ricostruzione,
sfocate,
annientate,
vanno vagando tutto intorno
per ritrovare, o per sapere,
le nuove traversie
ostinatamente sospese.
E non fa freddo,
neanche se piove:
il cielo spiegherà ogni cosa,
senza chiedere
e senza nulla volere.

LA SEDIA PER DOMANI.

Incalza,
sotto un platano crescente,
la sfumatura grigia
di un momento trasparente.
Mentre
il lavoro si intrattiene
nell'interno delle vene,
un ponte di sotterfugi
nasconde la gamma delle ore.
Sembrano misteri di risucchio
tra l'erba e i sassi sottintesi...
Sopra terra
fuma un motore di nebbia
che non arriverà mai
ai luoghi più lontani
e infine, più veloce,
una luce ardente
illumina la sedia,
disposta per domani.

sabato 16 maggio 2015

IL VERSO DELLA CIVETTA.

Nella quiete della notte,
il verso della civetta
è più che sufficiente
ad educare al canto
le anime vaganti.
La prima nota
è strapazzata,
con furia desolata,
poi diventa ardente
e scuote il buio
con furia travolgente.
A piena gola
sfoggia un canto
che fa cadere il prete
giù dal letto
e lo ripete spesso,
fino a far cadere
anche il chierichetto.
La civetta,
nella sua voce,
ha la forza immortale dell'incubo
e con un volo basso e rapido
trova una preda nel campo,
oppure dietro un vicolo.
La civetta
è il vivido ricordo della guerra
che riporta il lutto
in ogni luogo della terra.
E di sicuro
nella notte ritrova la sua pace,
quando si fa quattro risate
a piena voce.

NON SONO BRAVO NELLE DISCUSSIONI.

Non sono bravo nelle discussioni,
né mi muovo solo per fare delle buone azioni.
Trascorro spesso l'intero inverno in casa,
poi giro in tondo,fino all'ostacolo della porta chiusa.
Credo che un commento non faccia tanto effetto
a chi parla spesso nel gergo stretto del dialetto
e non dimentico il confine del mio vero io
per la sporadica visita di un brillante zio.
Con tutto questo non rifiuto il gioco plurimo della conversazione,
anche se poi la mia voce emessa è simile a quella del brontolone.
Ero calabrese, oppure lo sono diventato,
lo si capisce perché parlo in tono troppo eccitato;
preferisco in breve rinunciare a visite e a rapporti esterni.
per meglio misurare la gittata ad arco
dell'orizzonte eterno.

V' ERA UNA BELLA COMPAGNIA.

V'erano borbottii e luce,
nulla precludeva corse lunghe
e voli pieni.
V'era un'onda
sui capelli biondi della zia,
lievi guizzi di sorriso
e certa gente mormorava dei pensieri...
V'era un tocco di magia
sui capelli ricci del cugino
e parenti stretti tutti insieme.
V'era molta cortesia
nel versare vino nei bicchieri
e una spessa bolla d'allegria
a tasche piene e pasticcini.
Felici, grasse ed adeguate,
le frizzanti mosse della compagnia.


venerdì 15 maggio 2015

VEDREMO LADRI TRA LE SIEPI.

Ammicca
una forma massima di luce
tra due foglie appaiate
di un albero autunnale,
che assomigliano così
a denaro vegetale.
Altra luce
cade da lontano
e illumina altre foglie
che diventano denaro.
L'autunno danaroso
è generoso di luce,
splendente come l'oro.
Vedremo ladri tra le siepi
e il cielo si farà più scuro.

NON SAPEVO ANCORA NIENTE.

Non sapevo
se evocandomi di persona
sarei rimasto ancora silenzioso,
comunque uscii dal nero.
Malignavo la sorte
che mi spingeva verso il cielo
e lottavo,
con un braccio sguainato
contro forme scintillanti,
ma non sempre sorprendenti.
Mi immaginavo vero
e mi grugnivo.
Non sapevo neanche
se il cielo fosse davvero scuro
e non l'indovinavo.
Non sapevo ancora niente
ed ero troppo tardi
per pensarci.

UN MALANDRINO.

La trama
di un malandrino,
è una lunga striscia scura.
Il fango
esce dai suoi cancelli deperiti
e scompare.
Il malandrino
annusa spesso il proprio nome,
ma lo rifiuta, se del caso.
Spesso,
chi conosce un malandrino
si vanta
e col suo vanto
dà fermezza al giudizio
di chi lo ha giudicato.
Cosicché
un certo che di male
porta un pò di bene
all'imputato.

LE FORME INARCATE.

Le forme inarcate,
sussultano e smorzano le voci della casa.
Le forme che hanno una fine
si inarcano facilmente
nelle ore dei pasti, davanti alle finestre
giustamente luminose
e, sfoderando bizzarri mucchietti di pane,
offrono una breve amicizia
alternandosi nelle tavole
disposte in buona posizione.
Le forme inarcate
sono allegre nelle ore del bisogno,
ma tendono a cadere
e dall'arco della corretta inclinazione
precipitano
con un'indolenza oscura
e ronfano, sospirano,
abbandonate dalla forza
che le ha lasciate uscire,
ma restando in verità
inarcate ininterrottamente
in filamenti musicali,
non previsti nel risveglio,
ma utili nel riposo.

giovedì 14 maggio 2015

E L'OSPITE PARTE.

L'ospite avaro, improvvisato,
apre la porta
come una clessidra d'aria.
Devoto nemico
di ogni voce sonora,
dribla commenti severi
e pur s'ode lo stesso.
Non più indistinta presenza,
fraseggia ondeggianti atonìe straniere.
Pelle di quercia, maiale,
s'improvvisa a dichiarare
una febbre micidiale.
Poi un colpo di tosse,
un motore irrequieto,
un sibilo ad arte
e  l'ospite parte.

LA SERA, LA NOTTE, L'ALBA SUI PRATI.

Oramai la luna si apre.
L'animazione turistica
è iniziata con timide canzoni
ed è finita con balli saltellanti
a grandi cucchiaiate serali.
La malinconia
parte lentamente...
Quando avviene il silenzio,
c'è di mezzo la notte:
grandi masse oscure
spalancano porte di nascosto.
L' angoscia lavora
e brucia luce con l'aiuto della luna;
finchè arriva a splendere
un sole sorridente,
che disturba i pigri
e illumina la terra
con il suo abito verdeggiante.

IL TABACCO.

Il tabacco,
che della nostalgia
è il principale ispiratore,
emette esangui lingue di fumo,
come un bruciatore.
A mettere in azione
la trama che lo fa salire,
un fumatore non lo sa spiegare
e intanto sale, aspro,
l'effetto martire
della primitiva vegetazione
in una bollitura lenta
di combustione.
Il tabacco
conduce lontano,
fin dove nessuno
arriva con la mano,
ma ogni buon fumatore
insegue l'orma
del suo odore.

LA VIVACITA' INTESTINALE.

La vivacità del mio ingegno
si manifesta spesso
con evidenti esplosioni intestinali.
Un uditore occasionale
mi potrebbe giudicare volgare.
Ma come non giustificare
una corrispondenza fisiologica
tra l'attività cerebrale
e quella intestinale?
Non è forse vero
che ad ogni concetto
segue un effetto?
Oppresso e limitato
nell'ambito del corpo,
quale più logica
via di uscita può esistere
per fraseggiate, spezzettate, inconcluse
elucubrazioni sull'Ideale,
dell'orifizio anale?

mercoledì 13 maggio 2015

L' INCONTRO INTELLIGENTE.

Il simpatico cugino
dal volto parigino
eliocantava raggiante,
il giorno dell'incontro intelligente.
Lasciandolo ai progetti
che progettava nella mente,
gazze grossolane volavano nell'aria;
niente di meglio
di un robusto gorgheggio
per dar forza e forma
al di lui vagheggio.
Il cugino aveva bevuto latte
a colazione,
era l'unico quel giorno
ad abitare la pensione
e galoppava in un sogno adamantino,
per dar modo al tempo
di vincere il mattino.
Nuvole e foreste che voleva dire...
lui avrebbe spento il sole
per poter venire!
Lui studiava bene quel progetto
e si adeguava per il grande fatto.
Veniva luce giù dal primo piano,
che esaltava in pieno il colore dell'asciugamano.
Luci misteriose stavano di fronte,
menzogne dolci erano già pronte.
Lei apparve, pervenne,
l'incontro finalmente avvenne.
Lei fu la prima ad intervenire,
lui cercava il modo di poter agire.
Anche il ballo si rese necessario,
dopo il pranzo con del buon formaggio.
Lei, esibendo una cultura innata,
lo interrogò per tutta la giornata.


IL MARE RIMANE SEMPRE SULLA SPIAGGIA.

Il mare,
come un delfino ammaestrato,
danza tutta l'estate.
L'armonia è l'effetto del suo ingegno:
per le vele, per gli scafi leggeri,
per i nuotatori, per gli ammiratori.
Il mare,
come un docile allievo,
impara dal vento ogni movimento.
Per chi si attarda sulla riva
restano spruzzi d'acquaviva
e un firmamento di sabbia fine.
Il mare sembra veloce quando viaggia,
ma rimane sempre sulla spiaggia.

LA SIGNORA GRASSA.

La signora grassa,
nostalgica dell'acqua,
mostra una panciona molle
davanti alla spiaggia;
con il petto ruba al mare
una fetta d'orizzonte.
La signora grassa
scende in acqua:
magnifica, s'incunea
dentro l'acqua
e innesta un'altalena
di risciacquo, che serve
molto bene per cadenzare
la frequenza delle onde...
Par di udire un richiamo,
cui risponde un eco dall'abisso:
forse è un'otaria, forse una sirena...
La signora grassa,
nei pressi della spiaggia,
abbandona i suoi guizzanti
cuscinetti sulla sabbia...

LE SETTIMANE DEL MARE.

Durante le settimane del mare,
quando il sole riempie il cielo,
dai corpi esce pelle più che una fioritura.
Le donne, che affondano i piedi nella sabbia,
hanno dei motivi d'interesse,
che le rendono più calde e più attraenti.
Durante le settimane estive,
niente resta nascosto.
Chi può, guarda oltre le schiene,
per vedere il mare che è sempre bello,
ma piuttosto lontano.
Altri, che non godono dello sviluppo del collo,
si alzano in piedi e guardano il mare,
che è sempre bello, ma piuttosto lontano.
Nulla pareggia l'orizzonte.
L'estate trascorre galleggiando
sulla cresta insinuante dell'onda
e si fonde, si scioglie nell'acqua,
necessaria per non precipitare.
Quelli che non abbondano di cosce,
si propongono l'avventura di una passeggiata
che incomincia illimitata,
ma alla fine non ruba troppo tempo alla giornata.
L'abbronzatura, quale obiettivo, è l'ideale.
Col sole, l'età diventa un sogno
che si può realizzare.
Il sale sulle labbra rallenta le parole.
I seni delle donne, poi,
col moto delle onde diventano burro
da spalmare, da inghiottire;
chi può lo raccoglie, qualcun'altro lo ruba,
infine c'è anche chi si accontenta
e lo sogna.
Molte biforcazioni tra le cosce
vengono gradite dall'occhio vigile
dei rifugiati, quelli che non escono mai
dall'imbuto degli ombrelloni.
La bellezza balena nella luce:
non acceca, ma seduce.
Gli anziani, attenti a frenare
la caduta dei capelli,
non si accorgono di sporcarsi le mutande
e ricordano ancora il tempo
che non dovevano pulirsi tra le gambe.
Un materassino nell'acqua
sembra un pigiama abbandonato...
I giovani, che ancora non sanno dormire sulla sabbia,
giocano e si divertono.
Si possono anche spegnere le radioline:
l'acqua e il sole
trasmettono l'estate ininterrottamente.

LA SABBIA ROTONDA.

Le solite storie.
Polvere, sospiri e lacrime.
Poi, sono cominciate a crescere solide parti sul fondo.
Multiformi, dure e lucide.
Poi, la dovizia dell'acqua...
E grossi rettangoli bruni...
Poi, frammenti, fumate di zolfo, coralli...
Il mare rotolava
e rotola ancora.
Bisognava sfuggire,
non c'era più pace.
Difficile, all'inizio,
riuscire ad uscire dal rotolio dell'acqua
sulla terra rotonda,
per la sabbia rotonda.
Uscita col vento del desiderio,
più forte della nebbia,
pari solo alla neve della montagna,
la prima sabbia
conquistò una vittoria,
che ancora continua.
Il mare,
da allora,
si protende sulla riva,
si allunga nella rena,
schiumando di rabbia,
per riacciuffare la sabbia.

martedì 12 maggio 2015

IL MARE E' LO SPUTO DI UN GIGANTE?

Il mare  è il rimbombo di una serratura che si chiude,
o la fanfara di una banda musicale?
E' semplice il mare,
oppure aggrovigliato?
Con un cucchiaio nella mano,
un santone illuminato
si versa sale nella gola.
Il mare, desalinizzato, si riprende
e continua la sua corsa indifferente.
Un pescatore, dotato di una barca,
lancia reti per fermarlo
e rimane con due pesci intrappolati.
Ancora il mare
continua la sua corsa indifferente.
E' una corsa di grancassa?
Un prigioniero, con la palla al piede,
scompare sotto l'acqua,
ripescato dopo un anno dai sommozzatori.
E' una corsa di martirio?
Il vento soffia un'aria di pavana,
un gabbiano trilla un motivetto:
ogni giorno è musica di festa.
E' un bel maschietto inzaccherato,
oppure una donna ammaliatrice?
Oppure soltanto una via di uscita
dalla verde massa della terra
fino ai riflessi neri degli scogli?
E' un ritratto del cielo?
E' suo il lento gocciolare della pioggia?
Quante montagne servono per fermarlo?
E' il sole che sorge dal mare,
o è il mare che sorge dal sole?
Il mare racconta la sua storia
e la scrive sulla sabbia,
ma certi pescatori hanno cancellato
alcune tracce,
pur di trascinare i pesci nelle barche.
Erano giovani quei pescatori?
Sono riusciti a levare le spine da quei pesci?
Chi potrà ancora ritrovare
le stesse tracce,
sulla stessa sabbia,
degli stessi pescatori?
Ci saranno ancora
pescatori da osservare?
E poi, ancora,
al mare bisogna chiedere,
oppure rispondere?
Quelli che fanno domande,
sono forniti di grosse àncore
e stanno ancora aspettando.
Quelli che sanno rispondere
sono abili nuotatori,
ma inseguono inutilmente
pesci più veloci di loro.
Chi pensa che nei fondali
funzionino clessidre d'acqua,
non ha mai imparato a nuotare.
L'opinione comune, dunque,
è che le domande sono tante.
Le teorie si ammucchiano tra le onde,
sugli arenili;
che il mare sia soltanto
lo sputo di un gigante?

IL MEZZOGIORNO DEL TURISTA.

Si avvicina un mezzogiorno
dalla schiena di granchio.
Lento e goffo,
attraversa i tunnels
scavati nella sabbia.
Un mezzogiorno di vacanza
si muove e passeggia con gli occhiali,
già scurito ed allenato
ad affrontare il sole
e la calura del deserto
lungo il mare.
Invece,
il mezzogiorno sul mare
si appende alle ali del gabbiano;
nel cielo vaporoso
si rinfresca
e sazia la sua fame.
Nello stesso tempo,
il mezzogiorno dalla forma di pesce
è più lontano,
conosce bene il sole
e non lo teme;
abilmente sfugge
l'urto del richiamo,
gioca sempre senza litigare.
Il mezzogiorno più breve
è quello del turista intraprendente,
che raccoglie le sue ore nel secchiello,
col pallone le trastulla
e nuota, finché il fiato lo consente.
Il mezzogiorno del turista
è una sirena,
una visione da non dimenticare,
che finisce ancora prima
dei rintocchi
delle onde sopra il mare.

L' ESTATE MARINARA.

L' estate festiva,
pittrice di schiene,
esce, esce,
esce sui balconi,
li apre ogni notte
con una lingua ladra
e mantiene l'aria
sudata e ammorbidita.
L'estate marinara,
pittrice di spiagge,
spinge, spinge,
spinge cappellini sulla testa,
supera i costumi
fino ad arrivare
alle scollature delle scarpe.
L'estate barcaiola,
ingorda pescatrice,
studia, studia,
studia da lontano le sue rive,
le ammucchia di colori,
concentra il flusso dei nuotatori
e poi li pesca con l'esca del gelato.
L'estate nuotatrice,
abile nell'imitazione,
galleggia, galleggia,
galleggia sugli scogli,
li travolge attentamente
con le sue segnalazioni
e gode, gode,
gode il moto stimolante delle onde.

FACCIO QUESTA CORSETTA.

Faccio questa corsetta
e la dedico a te,
mia violetta.
Il mio passo
avrà una cadenza autunnale,
cercherò tuttavia
di non farmi del male.
Nella fatica e nel sudore
ricorderò il nostro amore.
Questo pensiero
mi renderà lesto:
tornerò da te
al più presto.

IL CAPITOLO PIU' BREVE.

All'ultimo momento,
chiuso il negozio
e preclusa ogni entrata,
il passo si avvicina al letto.
Chi potrà mai dormire,
se i calcoli hanno
litigato con lo spazio?
Ma la penna si accontenta,
se il foglio bianco
si presta all'evenienza.
All'ultimo momento,
il letto lascia posto alle vetrine
e il capitolo finisce
con la parola fine.

LAMPO D' IMPROVVISAZIONE.

Lampo d'improvvisazione!
Io ti conosco...
Potresti essere mio amico...
Ti cercherò comunque
e diventerai il compagno dei miei ozi.
Ho acquistato l'ombrellino
della tua persuasione
poco a poco,
come niente...
Lampo di niente!
Come ti vedo,
bello e stravagante!
Insieme siamo usciti
di notte, per coltivare pomodori
come semplici agricoltori,
perché noi siamo contadini
e ballerini!
Lampo dolce dell'estate,
tu sei la mia luce serotina,
ti appendi alle grucce della mia schiena
e mi agganci alla tua vita paesana,
come un ospite dalla pelle nuda.
Parentela bella
della nostra pelle!
Noi che scendiamo
nascosti dietro le illusioni
dei muri affrescati dal cemento,
scambiamoci frasi comode e gioiose,
che ci fanno sghignazzare
e rubare acqua dalle sporte
delle donne generose...
Lampo rilucente!
Gonfio di fulmini abbaglianti,
riempi filari di pioppi senza luce
e non chiedi pubblico alla notte,
perché sei bianco e produttore
dei tuoi stessi prodigi detonanti.
Io ti cerco, sperduto tra le stanghe della notte,
ti chiamo coi segnali della mia lanterna nuova,
ma tu non mi segui,
non mi offri la tua mano,
guizzi sempre più lontano.
Illumini le penne dei maestri
e a me lasci solo una traccia vaga
e gli applausi scroscianti della pioggia.

lunedì 11 maggio 2015

LE DONNE DANAROSE FONDONO L'ORO PER IL PRANZO.

Le donne brave,
le donne danarose,
volano sulle onde.
Conquistano vento
con quei loro profondi squilli
fatti d'argento
e filtrano il mare
tra i denti.
Le donne
si addormentano con le gambe larghe
e la pressione della sabbia
non riesce a frenare in loro
il tremito delle cosce.
Esse fanno gioielli,
con quelle mani scolorite dal sale
e possiedono un orologio vuoto,
che segna solo mezzogiorno.
Quelle donne danarose
comprano intere giornate di sole
e di sera
vanno in cerca dei clienti migliori
a cui vendere la notte.
Questo finché arriva l'alba.
Allora le donne brave
aggiustano i malanni dei mariti
e si concentrano
guardando il tavolo da pranzo,
sui loro danarosi precipizi.
Le onde le scuotono
e le spogliano.
Le donne brave,
le donne danarose,
fondono l'oro
per il pranzo.

I MARINAI.

Sul moto ondoso,
gli architetti di grido
gridano, ridono, si entusiasmano.
Si coprono con dei sorrisi squamosi,
che poi restano sulla sabbia,
con la bassa marea.
Sul moto ondoso,
i ghiotti buongustai dell'arena
si barcamenano sulla battigia
e si massaggiano da mascalzoni esperti,
forieri, sopraffini.
Le calze dei fumatori sono nere,
inoltre sono scalzi
e pure viandanti.
Gli ultimi bottoni che indossano
sono dei tranelli,
che finiscono nascosti
nelle uova dei gabbiani.
I veri messaggeri del sole
sono marinai
che si vestono di acqua e di vento
e pescano lisciandosi le mani,
verdi negli occhi e profondi nel respiro.
I marinai vendono il mare
per spegnere la sete,
catturano pesci addormentati,
sorprendono le onde
con le loro vele.
Le chiacchiere del mare
sono le loro parole.

OGNUNO RIDE BAGNANDOSI I PIEDI.

Tutto si svolge nella pace dell'acqua.
L'elargizione di sole sulle conchiglie chiuse,
il gonfio ondeggiare di una vela sul mare,
l'onda di luce sulla pelle chiara,
tutto sull'acqua perde tempo, peso e forza
e si tende, si immerge,
si trasforma in barca, in conchiglia,
in canestro galleggiante.
gli occhi illuminati dal sole
si riempiono di sogni
e si socchiudono alla luce.
Coinvolto dal calore abbandonato dall'erba,
seccato dal sale, spogliato dal vento,
chi sosta sull'acqua
approfitta di ogni schizzo di schiuma
per esercitare l'arte dello scherzo
e ride, bagnandosi i piedi.

domenica 10 maggio 2015

L'ANGOSCIA SEPOLTA SOTTO LA SABBIA.

All'àncora
per godere un salvataggio
e burro bianco senza crema.
L'orologio sfugge e s'infila
nella chioma ondulata e serena,
che fa nove di mattina.
Sette ombre stravaganti,
due litri d'acqua,
un caffè abbondante
e un'insistente permanenza estiva.
L'angoscia sepolta sotto un velo sottile di sabbia
coinvolge conchiglie e le sprofonda nel terrore.
Dal lampo lungo dei raggi del sole,
numerose onde approfittano per risalire la marea.
Nel tempo che fa del mare una cisterna,
facendo passeggiate coi costumi senza tasche,
incuriosendo giovani uccellini
con le orme delle scarpe sulla sabbia,
scoppia sempre più fitta sulla spiaggia
la fioritura degli ombrelloni
verso il fascino di specchi
che di luce sono somiglianza.
E in un lungo nodo,
si riflette il calore contro il sole.
Il mare sopporta ogni soluzione.

CONVIENE MODERARE IL TONO DELLA VOCE.

Il sollievo di sentire ancora lo sbadiglio,
che poi in fondo
non è altro che un bacio smisurato,
cresce in gola un'espressione nuova,
una specie di baleno stravagante.
Tutto succede all'inizio della prima nota.
Un centesimo d'aria è sufficiente
per far germogliare baci tra le guance
e dai gomiti parte una ginnastica di precisione.
" Calma, vegliardi!
Le comunicazioni costano fatica,
accontentatevi di non farle balbuzienti!"
Il respiro si affievolisce,
esausto di troppe pieghe:
chi parla, si dimostra sottomesso.
A destra, un delfino si immerge nella seta,
a sinistra la marea cresce senza sosta,
più a sud il corallo si stacca dalla roccia.
Per chi vive a nord,
non resta che inseguire le tracce degli uccelli.
" Buone vecchiette,
voi che nascondete soldi nelle buche,
siate più abili nelle elemosine,
non potete sbagliare con la fame nella bocca!"
Dall'alto nicchia una luce guardiana,
in basso gli esploratori scavano miniere,
per chi è sdraiato sulla sabbia,
conviene moderare il tono della voce.

LA NONNA DELLA DONNA.

La nonna della donna era derviscia,
forgiata da una coscia
scolpita con un'ascia;
non meraviglia quindi
la sua schiena liscia.
Poi, gettata nel mare,
divenne sirena;
a forma di pesce,
è dunque una scia che lei lascia.
Scivolando sulla sabbia,
uscì dal mare
e si gonfiò di vento,
per questo anche adesso
non c'è urto che la sfasci.
Davanti alla donna
ogni uscio si apre...
comunque, lei di casa non esce.
Sopra il letto,
lei risente i ricordi del mare
e si muove ad un tempo
innocente e lasciva.
La donna, non è stata mai dimenticata
dai fiori che ama,
per questo l'uomo,
col suo pungiglione,
su di lei sciama.
Lei nasce da un frutto,
per questo nel suo ventre
c'è la vita che nasce.

venerdì 8 maggio 2015

IL MARE.

Se per caso una vela,
per quanto radiosa,
dovesse dipingersi in naufragio
e dei suoi colori
nulla restasse dell'estate,
l'acqua delle onde
uscirebbe ancora
dalla palma distesa del mare
e come unghia nel catino
farebbe schiuma,
per nascondere il dolore.
Non solo questo
è il mare.
E' dei pesci la gioia del mare,
chi lo tocca
rischia di sprofondare
nelle bizzarrie delle onde.
Onde,
api d'acqua,
sale,
miele d'acqua,
paradiso di un mondo
senza tempo,
solitudine di un presente
senza storia.
In mezzo alle maree,
isolate comunità
di esseri bruni,
fedeli,
obbedienti
alle leggi trasparenti dell'acqua,
navigano tranquilli.
Pesci felici e prigionieri,
abbandonati
nel silenzio
ad una insonne marcia
per inseguire
la viscida rotondità
della terra affondata,
navigano tranquilli.
Pirati e marinai,
galleggianti superstiti
tra i relitti
di quelle forme affioranti
tra le onde,
forti africani, costruttori di navi
per custodire i segreti degli alberi,
grossi norvegesi affamati
di lische di pesce,
lituani unti dal grasso delle balene.
camerieri internazionali,
abili nel pulire con l'acqua i catini
e donne in bikini,
illuse di essere lisce
come delfini,
navigano tranquilli.
Quando bagnarsi
sarà piacere e non più esigenza,
quella gente
esplorerà la sabbia
per costruirvi capanne.
L'alleanza del vento col sole,
la persecuzione rabbiosa del sole,
la congiunzione immediata della pelle col sole,
fanno ancora del mare
un mistero inesplorato,
ancora senza soluzione.
La libertà priva ogni abito di significato,
la pelle ridiventa abito e pergamena.
Il corpo si bilancia
in ondulata sincronia.
Le onde,
vibranti riflessi d'armonia,
si frantumano sulle scogliere
prima nell'atto di scendere,
poi nell'atto di salire.
Sulle spiagge
il mare lascia
un'affilata traccia scura.
Ogni pesce pascola
con bocca tumida
nel verdastro groviglio delle alghe.
Bronzeo, lucente come un'illusione,
scompare nella vertigine
svuotata dal sole,
dove l'onda nasce
senza mai morire.
In fondo, lontano,
un lattice di gomma chiara
congiunge il cielo col mare.


NON E' FOLLIA, UN PO' DI ALLEGRIA.

I pettegolezzi sui cani,
i problemi del gas mattutino,
le nevicate abbondanti d'estate,
non sono follia,
ma un pò di allegria.
Se un bambino si sveglia,
si precipita per far colazione
e sua madre dimentica l'ora,
non esiste follia,
ma un pò di allegria.
Non riesce un chirurgo
a unire la luce del giorno
alla gobba ricurva del vento,
ma talvolta ci prova,
per pura allegria.
Il coltello impietosito dal burro,
il mento affilato dal riso,
il gelato leccato per terra,
non sono follia,
ma solo allegria.
Non è follia sorridere al buio,
né costruire capanne col pane
e nemmeno
usare il fucile per vangare la terra...
sono solo precauzioni
contro i rigori delle ingrate situazioni.
Le vacche disobbedienti, per esempio,
arrecano una irrequietudine che,
in definitiva,
non si può definire follia.
E se per addomesticarle
fosse necessario un viaggio
in un costoso battello,
si potrebbe anche fare,
per sola allegria.
Chi può dire
che un cappotto indossato al rovescio
non porti con sè quel che sembra pazzia?
I colori sbiaditi,
le righe ubriache,
la targhetta del prezzo unita al regalo,
non sono follie
e non contagiano gli artigiani
che le tessono amichevolmente,
sono solo allegria.
Il pallore di una strada deserta
induce gli autisti delle ambulanze
a far uso delle sirene,
ma non è una follia
la loro allegria.
Le stramberie di una domenica bizzarra
fanno crollare le fondamenta
di programmi importanti,
eppure le urla, gli stratagemmi,
le imprecazioni cruente,
non sono follia,
ma improvvisa allegria.
La collaborazione dei disegnatori
a inventare una casa,
la pazienza dei muratori
a innestarla per terra,
le guide mal fatte,
i marciapiedi pieni di polvere,
le grondaie troppo umide,
gettano ombre di crisi sui proprietari,
gesti confusi di mano,
parole confuse di bocca,
non certo apprezzabili
sintomi di vera follia.
Nemmeno l'insonnia ostinata,
la spavalderia dei puledri,
la simpatia dei camerieri,
l'approccio delle zitelle,
le delusione della pioggia,
l'illusione del sole,
la tensione della luna,
l'azione del mare,
sono follia,
ma solo un pò di allegria.

mercoledì 6 maggio 2015

LO SBADIGLIO DELL' UOMO.

La musica dell'aria
potrebbe anche intoppare
in un arcipelago di rocce bianche
e il vento della notte
finirebbe forse adescato
da un boschetto di ligustri
e il fiato di un uomo
potrebbe apprezzare
il fascino goloso
del sonno profondo,
soltanto
che una volta
si privasse del riposo...
Allora non varrebbe
né segreto d'acqua dolce
né silenzio di palude,
per frenare il bisogno di riposo
dell'uomo cacciatore.
Quest'uomo sbadiglia quando è stanco
e ricorda
le notti della caccia,
le foreste scure,
il fuoco del camino acceso.
L'uomo indorato di vernice fresca,
che si muove attento
dentro maglie colorate
e che dorme senza faticare,
senza mai seguire le orme
delle lepri silenziose,
quell'uomo che ben sopporta
il dolore dell'abbandono,
si vergogna del suo sbadiglio
e lo nasconde
con la mano.
E' l'uomo pescecane
che mostra l'abisso della bocca
con aria spavalda,
è l'uomo senza accappatoio
che mostra il furore del suo corpo
dopo il bagno,
è l'uomo avido di vento
che inghiotte col respiro
nugoli di zanzare
e resta indifferente,
è questo
l'uomo che ripete
lo sbadiglio del tempo più lontano
e non lo nasconde
con la mano.

IL TIMBRO.

Il timbro,
in triplice copia,
è un attributo
del tribunale.
Tradito
da un tramonto d'inchiostro,
lascia un segno sbiadito...
Con un terribile tonfo,
tradisce tre volte
lo stizzito impiegato.

L' AUTO ASPETTA IL PIENO.

A sinistra escono donne forsennate
e dondolano, restando in bilico
tra l'incertezza e la solitudine;
a destra un uomo sui due passi
controlla attento
la profondità delle cadenze;
davanti, dopo alcune colonne rosa,
una giovane avvenente
indossa reticelle a fiori;
indietro,
un'auto aspetta il pieno,
con l'autista frettoloso addosso.

NOBILE MANO FERITA.

Nobile mano ardente, operosa,
che ti esponi incallita
e nel frattempo tentata
dalla molteplicità armata
delle tue dita,
nobile mano accurata,
in attesa che il riposo
interrompa l'instancabile crescita
di ogni unghia coltellina
e ti trasformi in conchiglia,
nobile mano prudente,
resa attiva da una
doppia virtù contadina
e da carezzevoli note di penna
nell'officina dell'istruzione,
nobile mano forte,
tu sei penetrata nella materia,
contro un muro di pietra
hai spezzato un piccone,
ancora una volta
sei rimasta ferita.
Alla fine dei tuoi guai,
di nuovo in groppa
ai tuoi polsi centrali,
certamente guarirai.

martedì 5 maggio 2015

IL VENTO DISTURBA UN PODISTA.

Il temporale,
come un brodo senza sale,
cade.
Il cielo
evidenzia un urto di pioggia
violenta.
Il gatto,
al riparo del solido tetto,
dorme all'asciutto.
Il vento
finta una curva da sotto
e sbatte sul tetto,
cambia direzione,
gira a sinistra,
sfascia una recinzione
e disturba un podista.

LA TAZZINA PUBBLICA.

La tazzina pubblica,
se c'era,
non avrebbe dovuto,
di sera,
raggiungere i raggi gioiosi
riflessi dai giochi
dei vesponi riuniti
sul dorso della giumenta
sdraiata nell'angolo,
col giogo grosso,
con la coda pelosa,
col muso goloso,
col pelo color della ghisa,
con l'occhio guizzante,
con lo sguardo ghermente
eppure gelido,
come il freddo gomito
di chi fa uno sgarbo insolito.
La tazzina pubblica
stava finendo
uno scivolio d'oblio
nell'aceto artefatto della sera,
dove le mosche giocano alla guerra,
laddove si doveva ancora pulire
il cucchiaino,
caduto per terra.

IL SAGGIO PROPRIETARIO DI UNA CASSAFORTE.

Il ricco
si nutre di impossibile
e non è mai sazio.
Il povero
si tormenta
per l'esiguità della sua mente
e rinuncia all'appetito.
Il saggio, pur se ricco,
appende sul suo cavalletto di pittore
le banconote prelevate dalla banca
e in cassaforte mette libri,
semi e zucche colorate.

lunedì 4 maggio 2015

L'ACCATTONE.

Concentrato sulla lunghezza del viaggio,
fissa l'attenzione sulla borsa del suo bagaglio.
Liscio sotto il beige del suo cappello,
l'accattone esprime la fatica
a pedalate chiuse,
mosso dall'istinto vagabondo
di chi è sempre errabondo.
Lo sbilancio tra il movimento dei suoi sandali
e la forza atavica di uno sbadiglio,
lo colma di alcuni attimi di indecisione.
E si ferma, si oppone,
si comporta con il sole
da genuino, autentico accattone.

LE STELLE DELLA SERA.

Le sfavillanti stelle della sera
sono una costellazione di gioielli
nell'ampia curva del firmamento.
Stelle sempre più brillanti,
esasperanti ogni atto della moltiplicazione.
Se inutile è l'approccio disinteressato,
sarà utile il pensierino della sera,
che fa dormire un sonno
quasi anchilosato
nello spazio breve di un letto,
appena sufficente
per chi ci sta sdraiato
per una notte intera,
in così poco spazio.
Ma il sonno vola,
dove i sogni sono stelle
e il buon fiuto
di ogni sognatore
lo porta dove arriva il suo terrore.
Le stelle
stanno intanto ammutolite;
la grande buca dello spazio
si riempie poco a poco.
Se al mattino
il cielo si accende come un fuoco,
ciò vuol dire
che queste sono
le regole del gioco.

NON PRIMA DELL'OSCURITA' DELLA NOTTE,

Non prima che la giornata finisca,
non prima che le gioie del giorno
appaiano sfavillanti,
intravviste tra squarci luminosi,
non prima che l'apparenza
del niente baleni
nell'oscurità della sera,
scomparendo presto
nel buio della notte,
non prima di allora,
un animale dalla pelle chiara
abbandonerà il suo peso,
lungo disteso,
su di un comodo letto.

sabato 2 maggio 2015

LASCIATI ALLEGGERIRE DAL VENTO!

Come fanno gli altri a parlare...
tu chinati finché ti diranno che ci sei
e non diventare insolente
con quella frusta
che tieni nella mano!
Come si muovono gli altri a motore,
tu scansati verso le stabili soddisfazioni
dei barattoli vuoti
e non farti sorprendere
a inghiottire germogli
in mezzo alla gente!
Come ti chiamano quelli che ti vedono,
tu disfati della sagoma ovoidale
che ti rende evidente,
rinunzia all'ottavo precetto
del tuo contratto
e lasciati alleggerire dal vento!

PERCHE' NEL FIUME PIAVE NON C'E' NEANCHE UN ROSSO CORALLO?

Pancia in attesa,
accesso richiesto impalo,
golfetto dimesso giù,
più gonfio del liquore
che è un bijou.
Lena malandrina,
caduta sulla schiena,
blouson noir  déjà soufli,
all'imperatore non si chiede
il suo nome, qui.
Cella mirella,
a servizio di fratello corallo,
lontano lontano per sempre;
la mano non si mette mai
sul ventre.
Agata dentro nel vaso,
entrata ieri per caso;
aiuto! la stretta fessura
non mena nessuna avventura.
Doppio mento,
l'ultimo sceso lamento,
ma suvvia, come mai
il sole non è fecondo di rai?
Marta filetto
si alza dal letto
col suo pappagallo,
al canto del gallo.
Ma perché
il fiume Piave
non ha neanche
un rosso corallo?

QUEL BOSCO SOTTO L' ASFALTO.

Il bosco, quel bosco
sotto l'asfalto, è un crimine
consumato dalle corriere
e dai sandali della gente.
Quel bosco sviluppa ganci d'erba
sotto le panchine alternate ai due lati,
i fari perbene delle automobili in corsa
giocano perle a mazzetta,
in allegria con allegria.
Il buio avviene nella penombra insolita
di un viale senza bandiere
e la corsa sui tronchi,
quei poveri tronchi,
lascia grosse chiazze scure.

venerdì 1 maggio 2015

SENZA LA LUNA.

Senza la luna,
l'ombra della notte
è un cuscino di muschio.
Il mulino delle ore
scuote le sue pale al vento.
La musica della notte
porta canti lontani;
in certi momenti cresce
e si avvicina
con un fruscio d'ali.
Senza la luna
la notte è un sotterfugio
pieno di misteri.
L'orrore del buio
è un nascondiglio di illusioni.
Senza la luna
volano in cielo
forme misteriose.
Telescopiche mandrie di stelle
abitano l'abisso del cielo.
Un chilometro d'aria
si allunga in nuove misure,
non si può più fermare,
arriva lontano...
Senza la luna,
la notte non ha confini.
Di notte,
i desideri volano:
se li trovano le anime timide
degli animali,
la notte si mantiene gentile,
altrimenti salgono in alto,
dove i sogni
cercano preda.

IL PROFILO DELL' ORRIBILE MALE.

Il profilo dell'orribile male
è una maschera dalla lunga parrucca,
ben pettinata e di lana chiara,
che porta in una sola ripresa
la sagoma della sua ampia ala.
L'orribile male cade
dall'alto dei muri
e s'infiltra, con un tonfo leggero,
nell'umidità delle vene.
Viene una melodia alta,
di fortezza antica
e un movimento d'onda,
che poi diventa brivido.
Infine,
il profilo dell'orribile male
si gira,
esce dall'ombra,
svela il suo volto.
A poco a poco
svanisce la musica
e incomincia il dolore.