giovedì 30 aprile 2015

L' ALBERO DEL BENE E DEL MALE.

Noi dobbiamo staccare
da noi,
che siamo pianta
a tendenza secolare,
il male
che ci brucia la pelle,
che ci fa bestemmiare,
che ci scotta le narici
come una pioggia di fuoco,
che ci assale
lacerandoci crudelmente le vene.
Dobbiamo distruggere il male
lasciandolo fare,
finché, esausto,
non si seccherà,
cadendoci ai piedi
come una foglia morta.
Il bene,
che è lo studio
senza l'obbligo di studiare,
sarà per noi una linfa
che ci farà fiorire
in spensierate comitive sorridenti,
che ci farà scendere dal letto
come allegri paracadutisti,
che ci farà succhiare avidamente
il latte del mattino,
finché tutta la pelle
acquisterà il giusto
bagliore del corpo,
eretto come un albero
che vuol salire sempre.

IL DESTINO TRISTE DI UN PUGNO DI MOSCHE.

Muffa,
esasperazione di muffa,
attaccata ad un arricciato segmento stretto.
Briciola,
esasperazione di briciola,
sospesa su un luminoso supporto largo.
Isola,
palloncino d'isola,
ferma sulla rete di un microfono lungo.
Sagra,
musica di sagra,
avvenuta sul programma di un paese vicino.
Nuvola,
volo di nuvola,
gremita fuga di particelle lontane.
Sigaro,
combustione di sigaro,
bruciato per una soddisfazione breve.
Massa,
esplosione di massa,
scoppiata in successione rapida,
e tutto per tutti i lattanti
cresciuti nel tempo,
nutriti col thè e coi biscotti,
vestiti di tute e golfetti,
nanetti o giganti,
negletti sergenti
o ottimi fanti,
maschietti fetenti
o donnette eleganti,
gitanti nel tempo
o tristi emigranti,
sull'emisfero grigio di una sfera
che assomiglia ad una pera,
nell'immanente necessità
di conoscere la verità
in merito al destino triste
di un pugno di mosche.

UN GIORNO.

Un giorno
mi staccherò anch'io
dalla mia ombra incommerciabile,
installandomi al primo piano
di un ventaglio di luce
e di stanze, dotate
di un comodo divano.
Dopo tanti anni,
qualcuno pronuncerà ricordi
all'indirizzo del mio nome
e svelerà segrete illusioni.
Finirò smarrito
tra una selva di giochi e di malanni,
tangenti, d'altronde,
a nuove- parallele- situazioni.
La muffa del mio tempo,
un giorno,
avrà lunghe radici superficiali
e sarà così mia cura
sbocciare nuovamente
tra le fessure sottili
del secondo piano,
dove dormirò tranquillo,
senza fare niente.

NON E' NIENTE.

Se l'inghippo inghiotte
questa sera,
non vale niente il rapido passaggio
nell'austero ambiente della notte.
Morbide ciglia avventurose
fanno cipiglio ammaliatore
ed il fraseggio ostile dei predoni
invade il campo per due volte o sempre.
Senza male e senza fiato,
parla piano il fiume all'allagato;
se poi il pedaggio si paga tremolando,
è il momento di vincere l'affanno.
Tutte nubi e ricorrenti
sono indotte alle correnti
e l'intero ciclo della notte
sfuma in sonno
tante idee distratte.
Senza troppi delinquenti,
cela l'aria altri lamenti,
che si calano a sorriso
o si adagiano vicino.
Non è niente
o non è dunque:
terra- luce-
o componente.

mercoledì 29 aprile 2015

CHISSA' SE CADE UNA METEORA ANCHE STANOTTE?

Un gatto dal pelame lungo
incontra sull'erba
un grillo saltafossi:
chissà se mangeranno anche stanotte?
Di goccia in goccia,
la notte scala torri bianche sulla luna:
chissà se il nero firmamento
si distende anche stanotte?
Animali scuri si incrociano alle stelle,
un passaggio numeroso si presenta a frotte:
chissà se cade una meteora
anche stanotte?

AVANTI, AVANTI !

Avanti, avanti,
con la precisione cieca della spada!
Energumeni
esorcizzano la notte
con l'acceleratore acceso.
Avanti, avanti,
con l'uso degli amuleti
contro le voci della notte,
sulle sedie un pò sfondate!
Trenta sbadigli all'ora
e poi un quieto diluvio
che si cala...
Avanti, avanti,
verso l'ultimo baluardo di deserto
e la stazione finalmente presa!
Un urlo forsennato
copre il fiume di un colore strano,
peccato che un gendarme non lo veda
e non lo esplori...
Avanti, avanti,
le avanguardie arrivano alla fine,
dove cresce pelo di lattuga
sugli strati aderenti
delle abitazioni,
e le voci dei porcili
si odono lontane...
Energumeni stanno
uno in groppa all'altro,
in una formazione
fatta a forma di battaglia...

L'ALTERATA INCOERENZA DELLE COSE.

Il soggetto è la sera,
che saltimbanca tra i bottoni dello spazio.
La domanda è la prima,
che chiede tregua agli acquazzoni.
L'impressione è più tardi,
quando finiranno assorbite le delusioni.
Per l'uomo- che in fronte se ne sta-
i tracciati dei fossetti e delle siepi
sono servili e zigzaganti.
Al momento acca kappa
sui pascoli dei prati
i maiali grufoleranno ancora.
Dai risultati di vari sondaggi
i figli senescenti
daranno un freno al tempo.
I soggetti
dicono questa sera.
Le risposte
si manifestano ormai da sole.
L'impressione è uno sguardo acuto,
accompagnato da una piroetta,
che si fa
restando in piedi.

martedì 28 aprile 2015

QUANDO FINIRA'.

Il fluido inchiostro dell'asfalto
riflette
un'acquazzone a grana fine.
Quando finirà,
lo scopriremo al giusto tempo.
Anche l'aquila,
che adesso è sotto inchiesta,
geme lacrime
dal suo duplice occhio di vetro.
Quando finirà,
non lo sapremo mai.
La perla,
derubata della madre,
resta bianca anche di notte;
di sera imita la luna.
Quando finirà,
lo sapremo solo in sogno.
L'uomo,
immaturo e boccheggiante,
si ammala, pur di chiudere
la porta della casa,
mentre l'anatra,
ingenua,
aumenta ogni giorno
la sua carne.
Quando finiranno,
noi, distratti
dai segni del destino,
saremo ormai lontani.

TU ANCHE.

Tu anche,
svagato di tenerezza,
non inginocchiarti, questa volta.
Non temere il grillo della sera
né la lacrima del temporale.
Tu
manchi di parola
se racconti i fatti ormai passati
ai passanti numerosi.
Non devi accettare
stanchi colloqui sbrecciati
dalle incontinenze della conoscenza.
Tu,
schiacciato dalla polpa della giovinezza,
non nasconderti nella terra
per diventare insetto,
al sicuro dai progetti della gente.
Tu
non sei un malanno importante,
sei solo un corridore
che non vuole
andare in fretta.

IL SINGHIOZZO.

Quando l'incertezza
del ventre
presume irrequietudine,
si forma
una ben precisa emozione
che esce dalla gola
ed esplode nella bocca.
Si produce
un rumore
di percussore eccitato
e si ripete
in frequenza di danza
nel molle apparato
che non gli resiste.
Così squilla,
senza sesso e senza età,
quella voce cristallina
nata ai tempi
delle cascate
e poi,
col movimento rapido
dello stupore,
ottiene gloria
dalle risate agili
dei bambini
e comprensione
dall'imbarazzo confortevole
degli adulti zuccherini.

lunedì 27 aprile 2015

UNA PIPA A PORTATA DI MANO.

Sono momenti difficili,
questi.
L'arpa ha avuto
due corde spezzate,
il comune è rimasto
senza burro,
i mediatori hanno perduto
le occasioni migliori.
Sono momenti
che esigono riflessione
e una pipa
a portata di mano.








QUESTA BRANDA.

Questa branda
è stata il mio passato
ed ora è il mio presente,
abbronzato dal sole.
Forse diventerà
anche il mio futuro,
se le mosche
che ora vegliano
con entusiasmo il mio riposo
la smetteranno di volare
sulla mia carne
trasudante sale.
Questa branda
possiede ossi d'alluminio
e incerti scricchiolii di ferro
che le mosche
si ostinano ad ignorare.
Questa branda
ha un solo punto dove cede,
ma io la conosco
e prima di cadere
la precedo
e mi sollevo.

I COMMENTI DELL' UOMO.

I commenti dell'uomo
vanno diritti al cuore
e c'è uno che dice
che bisogna pelare patate
per tutta la vita,
che i fatti dell'uomo sono questi,
ma i peli crescono duri
per fare gli uomini veri
e per vestire le donne di lana.
Quello che dice
che il pelo non serve,
si prenderà un raffreddore!

TUTTI I BAMBINI.

Tutti i bambini
si fanno qualcuno
e si chiedono dove sono;
quando scoprono
di essere in piedi,
cercano subito
sitters somiglianti alla mamma,
così sono sicuri
di fare qualcosa di buono.
I pianti dei bambini
hanno lunghe pause di attesa
per vedere dove vanno a finire i baci
che le sitters ingoiano ingorde.

I FATTI DELL' UOMO.

I fatti dell'uomo
finiscono polverizzati,
per quanto veri, belli
e assicurati...
Ogni fatto dell'uomo
ha una sua memoria
personale,
ma alla fin fine,
è solo un animale...

domenica 26 aprile 2015

CANDAGLIA.

Il sole
consuma la sua luce
sulla neve.
Un continuo,
oscillante,
respiro d'alberi.
Col buio
ritorna
la forma
del mare
e tutto affonda,
nuota senza affogare,
dorme.
E' vita
anche
l'assenza
di luce.

LA MODA.

Una volta,
la moda viaggiava
su vecchi calessi,
con orgogliosi cavalli
e allegri sonagli.
Oggi,
le bizzarrie
della nuova era
scampanano allegria rock.
Ogni bambino,
aspirante aviatore,
decolla l'infanzia
davanti alla televisione,
vola una maturità
d'alta quota,
atterra alla fine,
esausto di benzina bruciata,
cercando i vecchi
campi fioriti.
La delusione
può anche diventare
una consuetudine decorosa,
se si converte
al mistico rintocco
del ticket giornaliero.
Come una volta,
la moda rintrona il passato
lanciandolo dal suo gong
itinerante
su tra le sottili
resistenze dell'aria,
oppure giù,
in mezzo alle grossolane
forme della terra.
Ed è sempre
uno spettacolo nuovo,
per chi
non conosce la moda.
Ognuno,
appena la trova,
la indossa
in modo originale.
Così
avviene la pace
tra il tempo passato
e il tempo presente.

PRIMAVERA A DOZZINE.

Dalla esecuzione di un concerto di uccellini
alla esibizione dei banditori profumati,
veleggia una situazione primaverile.
Forse il baccanale delle api
non sarebbe avvenuto
se  poco prima
fosse scoppiato un acquazzone,
forse il tripudio generoso
delle margherite
sarebbe rimasto chiuso tra i petali,
timorosi dell'acqua.
Forse tutto
si sarebbe svolto
in tono minore,
ma una melodia festosa,
derivante
dalle sorprese dell'orizzonte,
ha aperto improvvise finestre
ai profumi e ai colori.
Quelle api,
a dozzine,
si sono confuse tra i fiori.

L' INVITO.

Dopo tante piantagioni,
le nuove nascite
vengono studiate
con molta attenzione.
Nascita dopo nascita,
ancora si assiste
allo sviluppo turgido
delle membra originali
e ancora adesso
non c'è un assortimento
di nuove occasioni.
La coscienza
di essere insiti
in ogni interezza,
dà un'impressione
di possedere molte chiavi,
tutte quelle necessarie
ad aprire personalmente
coperchi d'illusione,
abbaini luminosi,
mansarde adulterine.
L'invito
è una sola
sillaba breve.

sabato 25 aprile 2015

LE COSE STRANE.

Non è follia
un pò di mania...
La verità
è nella fantasia...
E che si faccia il bagno!
Si gratti la schiena!
Si tolga la calza!
Che se il demonio incalza,
non basta mica
la padronanza!
Ancora un pò,
poco più poco,
come per dire
che corda non manca...
Luce risplende fin sulle antenne,
tempo non perde
la sferica stanza.
Tondo tondino,
canta pianino...
Giro girello,
scappa l'uccello!
La luce
torna dal riposo.
La sua verità è interrotta,
malaugurata,
sciattona,
scioccona,
cattiva.
Circola in tondo
la topina penombra della sera.
Le cose strane
si riflettono in tondo,
sempre dal fondo,
in ogni giorno
del mondo.


venerdì 24 aprile 2015

ANCHE CON GLI OCCHI CHIUSI.

Anche con gli occhi chiusi,
come si aprono
le ammaestrate finestre
al libero sfogo
dei venti nomadi,
così si stirano sonnacchiose
le ore
dei giorni damerini festivi,
guerrieri mercenari,
operai cottimisti,
contabili sfavoriti
e dopo,
anche con gli occhi chiusi,
si prosegue
un titubante dialogo
col preciso disegno
di un futuro
abilmente sagomato.
Anche con gli occhi chiusi
si ritrovano
ricordi scattati
e sviluppati con tecniche
sia bioenergetiche
che monostravaccate.
Anche con gli occhi chiusi,
attraverso illusioni di legno segato,
i chiodi toccano le tavole
e le tengono strette.
Anche con gli occhi chiusi,
le corpulenze
si gonfiano di nuovi piaceri
e intanto soffia un vento caldo
che solleva la polvere
come una nuvola,
che induce con forza
a tenere
gli occhi chiusi.

ERA LEI.

Nei giorni del bel tempo,
con passi di danza
e una collezione d'abiti
ben disposti e costosi,
veniva lei.
A certe mosse divaricate
opponeva passi di danza,
accenni musicali
composti e sicuri,
parole vere.
Era lei
e curava ogni accento della voce
per riuscire a cantare.
Ancora lei
parlava con le amiche
dei motivi di tante assenze,
sempre lei
cercava ogni occasione di incontro
per fare del bene agli amici,
solo lei
lasciava un'ombra chiara,
dietro le finestre chiuse.

IO SONO UN MURATORE.

Io sono un muratore.
I miei muri sono precipizi allegri,
canto nel costruire,
cado volando,
rido
e non mi faccio pagare.
Il luogo dove lavoro
non è una prigione.
Non è nemmeno una casa.
Io sono un muratore
 senza pietre,
impasto il vento
sanza calli nelle mani,
costruisco ville d'erba
per chi ama il vento
e le finestre al sole.

ANCORA UNA VOLTA.

Ancora una volta
è fiorito il deserto
in mezzo agli affamati.
Ancora una volta
nascono nuovi germogli
che stringono vento,
bevono pioggia,
succhiano linfa
dalle vene della terra.
Ancora una volta
la melma si trasforma in sugo,
l 'erba in vitello,
la morte in salsiccia.
Ancora una volta
si mangia.

giovedì 23 aprile 2015

ANNO BISLACCO.

Anno bislacco,
di candela spenta.
Un rapido,
affannoso sguardo all'orologio
e non c'è più il tempo
di giocare ancora.
Anno sfatato,
di memoria scura.
L'arido bacio
della notte fredda
ha una violenta,
intensa,
necessità d'amore.
Anno di pianto,
pioggia nera.
Ancora una lacrima
dopo l'arrivo invadente
del fantasma bianco,
non ancora stanco
di imbrogliare il gioco
di questi giorni
così tristi.
Quante risate amare,
in quest'anno
da dimenticare!

ANCHE SE NON MI SENTI.

Anche
se non mi chiami,
ti sento.
Non siamo più soli
nella foresta.
Eravamo giovani
sui tappeti,
abbiamo perduto
la luce della luna.
Ora siamo dispersi.
Anche
se non mi senti,
ti chiamo.

NOBILE MANO FERITA.

Nobile mano ardente, operosa,
che ti esponi incallita
e nel frattempo tentata
dalla molteplicità armata
delle tue dita,
nobile mano accurata,
in attesa che il riposo interrompa
l'instancabile crescita
di ogni unghia coltellina
e ti trasformi in conchiglia,
nobile mano prudente,
resa attiva da una
doppia virtù contadina
e da carezzevoli
note di penna
nell'officina dell'istruzione,
nobile mano forte,
tu sei penetrata nella materia,
contro un muro di pietra
hai spezzato un piccone,
ancora una volta
sei rimasta ferita.
Alla fine dei tuoi  guai,
di nuovo in groppa
ai tuoi polsi centrali,
certamente guarirai.

mercoledì 22 aprile 2015

DIVENNI POETA.

Senza siepi
né pavimenti verdi,
camminavo errando
per le strade deserte.
Non ero poeta,
camminavo soltanto.
Le siepi crescevano
intorno a me.
Fui cittadino.
Cercavo miele
e incontrai tabacco,
non sapevo ancora
dove rivolgere le mie
incerte ricerche.
Studiai la rima baciata
toccando le donne,
pestai i pugni
ferendo la pelle,
cantai le mie donne
coi ritornelli del vento:
divenni poeta.

LO STARNUTO.

Il galoppo dello starnuto
supera contrazioni meccaniche
e si spande
sulla pianura dell'intimità.
Il gettito delle convulsioni
acquisisce per sè buoni auspici,
d'altra parte incombono
gonfi sospiri tardivi.
Lo starnuto
rivela l'animo ossesso dell'animale,
annienta l'enfasi usuraia dell'urlo,
sfoga la sua forza guerriera
e poi
rattrappisce la voce
nella piena misura
delle sue facoltà silvane.

UNA SERA.

Una sera
cavalcherò la mia poltrona a dondolo,
ripetendo le poche barzellette che conosco.
In quella sera imiterò le anatre,
che passano le ore
dondolandosi sull'acqua.
Appoggerò il mio peso
sul mio dondolo,
con una breve spinta
lo renderò leggero.

martedì 21 aprile 2015

DOPO CENA

Dopo cena
c'è spesso un pò d'acqua
divaricata a memoria
e gong di finestrelle
con più di zucche fiorite
di quanto tavolo e respiro
diano prurito e sollievo.
Dopo cena,
al più che s'ode,
viene speranza di starnuto
e gongolìo di vasca
e petalo di sospiro,
sempre tuttavia
lamento a parte
e costipazione incisa.
Attenzione:
la geometria dell'anticipo
si ingrossa,
con l'umidità della sera.
Dopo cena,
la digestione allunga la veglia
e beve,
fino all'ultima goccia di colore,
il tramonto a parte.
L'acqua,
sarà l'acqua,
che tende l'arco della schiena,
che porge a tutti vesciche d'amore
in balìa d'interlocutore.
D'orlo,
sarà d'orlo,
il pullman in corsa
vuoto,
ma pur sempre prigioniero.
Dopo cena
l'ovo,
sarà l'ovo,
impresso al fumo,
in cospetto d'uncinetto,
mollerà la sottanina sul velo.
Dopo cena,
ladunque il caduto
trasmette
alla generazione delle rane
un sospiro
arterioso,
cipolloso,
sonnacchioso,
la sera si fa municipio
e trasforma
l'appello
in disordine e sogno.


lunedì 20 aprile 2015

ALLA SALUTE!

Il contatto del tuo corpo
con le mie labbra
m'assapora di nepente.
Sei vita, sei forza,
sei una fiamma latente.
Profumi di fieno e di sole.
Bruci nella mia bocca
il fuoco dell'estate:
questo ultimo bicchiere
è un augurio
di buona salute!

sabato 18 aprile 2015

L'USIGNOLO, LE MOSCHE, IL GALLO, I GRILLI, LA FORMICA.

                                                              L'usignolo

"Sapete
se il ranuncolo
ha già dato germoglio?"
Il richiamo raccoglie
il sottile tepore dell'aria,
affonda dolcissime note
negli umori dell'erba.
"Sono in ritardo?
Sono arrivati i germogli?
Sono così contento
di questo cespuglio!"
Non c'è bisogno d'altro.
Il pavimento è la terra,
la campagna una stanza,
il vento si muove appena,
per non spezzare il motivo del canto.
La domanda è musica;
durante l'esecuzione,
si sciolgono risposte
e nascono promesse:
non c'è simulazione.
" Adesso
e ancora adesso
e ancora, ancora, ancora,
sto per dire
che non serve sognare.
Ma chi dorme
in questa stagione?
Chi fiuta
questo profumo di fiori,
questa terra preziosa,
appena trovata?"
Il richiamo
si interroga e si risponde.
Ogni volta
rompe un sogno
e lo annienta,
poi si scioglie nel buio.
All'alba,
non ci sono più veli:
tutti i sogni
sono rinati
e presenti.

                                                             Le mosche

Le mosche
hanno una memoria
ricca di cadaveri
ed abitano spesso
tra le rose.
La rosa,
dal canto suo,
non conosce
né paura né delusione.
Le mosche
scelgono la rosa
per trovare riposo
dalle fatiche del volo.
Le mosche
sono buone spettatrici
di lotta,
grandi tifose
di morte.
Si interessano
alle sconfitte cruente.
Sono delle zelanti
becchine.
Ogni battaglia
le ispira e le sprona.
E così,
ronzando desideri becchini,
si attaccano all'uomo.

                                                        
                                                         Il gallo

Il gallo
ha dei colori più forti
della gallina.
E' più veloce d'occhio
e di voce
e alla sera occupa
il posto per primo.
Il gallo
non è certo un cantante,
si direbbe piuttosto una tromba,
congiunta al suo trombettiere.
Il gallo ha delle virtù militari,
perciò è decorato
come un soldato.
Due speroni per le battaglie.
due bargigli per le vittorie.
Arricchisce la vita
di tante galline
spronandole alla passione,
poi le protegge
con attenzione.
La notte lo stanca,
lo fa prigioniero,
per questo
è sempre
così mattiniero.

                                                       I grilli della mia estate.

I grilli della mia estate
sono nati tra i sassi,
su nei monti.
I sassi dei monti
sono pinete nelle loro gole.
Essi tremano al tocco dell'acqua
e stanno lontani
dalle acque dei fiumi,
per non finire immersi per sempre.
I grilli della mia estate
non intendono affogare.
Insieme,
riescono a sciogliere
il groviglio delle stelle
che pur stanno lontane.
Cantano nella penombra della sera,
cantano all'ingresso della notte.
I grilli della mia estate
sono piccole creature
che durano ore brevi,
forse una sola stagione,
ma danno certe feste
quando sono insieme,
che scacciano ogni malinconia.
Cantano, ma anche ridono,
i grilli della mia estate,
perché l'estate è bella,
perché l'estate è breve.

                                                  Il passo della formica

Il passo della formica
si stende
sullo spazio sconfinato
del prato.
Poco sexy,
molto agile,
non dà un'impressione di passeggio.
Chi pensa
ad un podista in corsa,
è molto lontano
dall'immagine del passo della formica.
Un fiore di tarassaco
è un fortezza gialla,
ma la formica
diventa una furia possente,
che avanza,
sale sul fiore
e lo vince.
Solo chi si sdraia sull'erba
è in grado di riconoscere
il passo della formica;
il guizzo dei loro sguardi
si incrocia in silenzio.
La formica
prosegue sul prato,
non fugge,
non chiama nessuno,
non saluta nemmeno.



venerdì 17 aprile 2015

HO VISTO IL DEMONIO.

Sono caldo
perché ho visto il demonio.
Aveva il solito
sguardo di vetro,
la pelle bruciata dal fuoco.
Era pur vero:
non c'era niente intorno
che non fosse fuoco.
Sapevo perché
era il demonio:
avevo caldo
e lui,
senza far niente,
scaldava l'ambiente.
Eppure mi sentivo tremare...
Finalmente
il demonio
è andato lontano.
Sarà il ricordo
del suo passaggio,
l'ipotesi della sua
futura presenza,
ma sto ancora sudando.




CON UN PO' DI SPERANZA.

E' una crudeltà
mettere in tavola
una tovaglia senza ricami,
un bicchiere senza vino,
un piatto vuoto.
E' una crudeltà
vedere nella pianura
una distesa d'erba senza fiori,
le montagne tanto lontane,
il fiume povero d'acqua.
Poi,
una mosca irruenta
disegna voli sulla tovaglia,
il bicchiere si colma di luce,
il piatto si riempie
di un sano appetito.
L'urto di nuove presenze
fa nascere nella pianura
variopinte apparenze,
sui monti si alza una nebbia leggera,
nel fiume scivolano
agili pesci.
Ancora una volta,
la speranza
vince la crudeltà
della realtà.

L'ANNOTAZIONE DELL' AUTORE.

                                                                   L' autore.

L'autore
ha poco tempo per scrivere:
è sempre così occupato
a scivolare tra le coperte del letto...
L'autore
ama i lavori letterari
scritti su buona pergamena:
li decifra per analogia,
li assimila in antologia,
li ricopia in pessima calligrafia,
li legge con schizofrenia.
L'autore
ama la magia della parola,
ma non conosce ancora
l'ortografia...
L'autore è un servo del verbo,
è un mendicante di parole,
è un ladro di idee.
Per inciso, infine,
l'autore
è un pessimo scrittore.


                                                               L' annotazione

Si prospettava
un'eclisse di toni e di umori
nell'oscura tendopoli
dell'immaginazione.
L'autore cercava altri autori,
perché si sentiva solo
e mal sopportava
voli solitari
con le ali della fantasia,
non conoscendo nessun sicuro
punto di atterraggio.
Nell'umano calore della ricerca
coi soliti metodi della parola,
del gesto,
del linguaggio aulente,
l'autore comunicava
il suo bisogno di comunione.
Sollecitamente,
apparvero in apparente disordine
volti di carrozzieri e di ferrovieri,
carradori e giocatori,
impresari e muratori,
mentre l'attesa languiva
in lunghi sospiri d'incomprensione.
I pittori, gli scrittori, i musicisti,
i ballerini,
rifiutavano l'approccio
teso a carpir loro
gemme di fulgide opinioni.
Si prospettava
per l'autore
una frenetica giornata
senza identità di vedute,
senza amplessi filosofici
né metafisiche penetrazioni.
Un'altra giornata
di parcheggio
per le oppresse pressioni
delle sue passioni.
L'autore cercò infine
degli amatori,
degli estimatori,
dei finanziatori...
Venne a scoprire così
stuoli di corridori,
di dottori, di educatori,
tutti immersi
nei loro umori.
L'autore
volse al riposo
la sua giornata
con una delusa,
amareggiata, concisa,
annotazione.

giovedì 16 aprile 2015

LA TRIADE IN SCENA. (Gli interpreti: uno, due, tre).

                             La partenza
uno...due...tre!

                             L'estro visivo

uno
                due

                             tre

                             Il catafalco

                uno
   due                    tre

                             Il proverbio
Non c'è uno e due senza anche tre

                             Il valzer

ùnduetrè!
ùnduetrè!
ùnduetrè!

                             Il motivetto allegro

Uno dudù!
 Due dudù!
 e tre!

                             La ginnastica

Uno!Due! Tre!
Uno!Due! Tre!

                             Il pareggio

uno a uno
due a due
tre a tre

                            Gli incroci infruttuosi

uno con tre
due con uno
tre con due

                            Gli incroci fruttuosi (es. il matrimonio)

uno con due
e dopo in tre!

                            L'incesto

uno con uno
due con due
tre con tre

                            Le relazioni matematiche

uno + due= tre
due : uno=  due
tre X uno= tre

                           L'antica sapienza

uno est
due est
ergo tre sunt

                           Controcorrente

tre
due
uno

                           Ricordi d'infanzia

tre a me
due a te
uno al gatto!


                           La lubrificazione

Uno...
due...
una goccia d'olio...
e tre!

                          Le emittenti televisive

rete uno
rete due
rete tre

                          Un anagramma

treno  U due

                          Il caos

ndt ure oue

                          Le scommesse

uno a tre!
due a uno!
tre a due!

                         Le quotazioni

rame  uno!
argento  due!
oro     tre!

                         La rivoluzione

uno addosso a due
due addosso a tre

                         La guerra

due contro uno
tre ferito.

                         La pace

uno  due  tre  ..... per sempre...

                         Sottozero

+ uno - due=  - uno

                         L'acquisto

costa due
pago tre
resto uno

                        La passerella finale

voilà uno!
voilà due!
voilà tre!

                      Il giudizio del pubblico

bravo uno!
bis due !
prrr... tre!


CE N'ERA DI LEI.

Lei era viziata.
Fumava tabacco
alternando colpi di tosse.
Lei era somara.
Ogni sera
ragliava una nuova canzone.
Lei era cane.
Abbaiava amore
con forti latrati.
Lei era felina.
Miagolava
il piacere di restare nel letto.
Lei era bromuro.
Iniettava siringhe
con mano d'infermiera.
Lei era bastone.
Nessuno pareva abbastanza forte
per le sue parole.
Lei era giornale.
Sebbene dotata di scarse notizie,
ogni giorno si alzava dal letto
per dire le cose.
Lei era fischio.
Soffiava ira
dalla bocca e dagli occhi,
faceva paura.
Lei era maestra.
Usava un gran numero
d'ore per insegnare.
Lei era colonna.
Imitava gli alberi,
restando diritta.
Lei era scaletta.
Un muro di pietra
non riusciva a fermarla.
Lei era modella.
Per farsi guardare,
ostentava un'aria allegra,
napoletana.
Lei era estrosa.
L'estro
le si adattava,
la definiva.
Lei era buona.
Evitava litigi
per amore di pace.
Lei era prato.
Si stendeva per terra
quando c'era dell'erba.
Lei era lontana.
Se ne andava spesso,
ma poi ritornava.
Lei era costante.
Annuiva, saliva e scendeva,
camminava, masticava,
alle solite ore,
nei soliti giorni.
Lei era portiera.
La sua casa
restava chiusa,
custodita dalle sue chiavi.
Lei era precisa.
Tutto il tempo era poco
per sbrigare tanti lavori,
ma lei cantava
e correva
e li finiva.
Ce n'era di lei
molto ancora,
ma poi se ne andava...





LA MIA LUNA.

E' bello
l'invernale lucore
della mia luna!
La sua luce
è un lampione polare.
E' bella
anche la sua estiva presenza
di medusa sospesa.
La mia luna
è vagabonda,
ma quando arriva
mi guarda
e sorride.
La mia piccola luna
è lontana.
Il suo abito
ha un orlo chiaro,
talvolta si vede
come un ricamo,
io lo so
che vuol farsi vedere discinta:
sembra una rossa insegna lontana!
La luna della mia nostalgia
si gira da un lato
e mi ignora.
Il profilo affilato
di quella luna
mi fa disperare,
perché io la guardo
e lei non mi vede.
La luna che mi fa sognare
accende ogni mese
una luce felina,
che illude al calore
e dà solo chiarore.
Troppo spesso
la mia luna dispettosa
si nasconde lontano,
mi lascia alle stelle
e io resto solo.




mercoledì 15 aprile 2015

F I O R I .

                                                              Assieme al fruscio dell'alba.

Assieme al fruscìo dell'alba,
il ballo zingaro
dell'epilobio
sgrana mammelle
color ciclamino
sul petto verde
del prato.
Nella luce lattea
del mattino
non è il solo.
L'ape,
che scoppia di risate rosse.
il rododendro,
che sommerge
con la sua allegria
una platea
di campanule azzurre.
Chi cerca il mistero
deve andare nel bosco;
il giallo ranuncolo
è in cerca di preda.
L'inquietudine delle farfalle
dimostra
come si possa impazzire
con tanta allegria.
Nessuno dubita
che la condotta dell'iperico
abbia una sua logica,
uno sfrenato bisogno
di dolci punture d'insetto...
La lunga solitudine invernale
è finita.
Ogni alba promette
nuove fioriture:
si canta per fare piacere
alle rose,
si piange il lutto dell'aconito,
si ride degli scherzi del giglio,
si dorme
col profumo vinoso del caprifoglio.
Niente
tocca di più il sole
del colore del fiore,
niente
arricchisce di più
la durata del giorno,
nessuna bellezza
è più coraggiosa,
sfrontata,
piccante talvolta,
di un fiore sbocciato,
aperto senza pudore,
pronto ai riti
dell'amore.
                                                                       La prova di Primavera.

Sì, è vero,
la terra si veste
a primavera.
Ha tessuto
la sua lunga tunica
durante l'inverno
col filo bianco
della neve,
ne ha lisciato le pieghe
appoggiandovi sopra
lastre di ghiaccio,
l'ha resa più preziosa
coi ricami
della brina.
Sì, è vero,
a primavera
è il momento di fare
una prova.
E così
la tunica si alza da terra
e si solleva,
fin sui rami
degli alberi:
così i colori si fissano
e ricadono dolcemente
al suolo.
Dall'abbagliante,
rapida prova di primavera
alle lunghe,
violente,
fioriture estive.
                                                           Sono andato ad annusare la mia pianta di caprifoglio.

Con curiosità,
con impazienza,
sono andato
ad annusare
la mia pianta di caprifoglio.
Da solo, senza cappello,
mi sono avvicinato
come uno schiavo
sciolto dal giogo.
Il cielo,
pulito,
mostrava stelle luminose
e splendenti.
Solo io
vedevo le stelle dei fiori,
solo per me
facevano luce.
Avvicinandomi,
mi accorgevo
sempre di più
di non possedere il minimo
barlume di luce.
Seppi così
di essere spettatore
e ladro.
Annusai in silenzio
profumo e luce,
poi allungai le braccia
aprendo le mani,
reso certo
che tutti i miei sogni
vivevano ancora.
                                                                      Viburno.

Palla di neve,
marasma bianco,
mandria di colori
tutti uguali.
Palla di neve,
ortensia selvaggia,
cappotto bianco,
velo di sposa,
fiore dal nome strano,
mongola cavalla
senza stalla,
dal nome senza chiesa,
senza passione,
senza speranza
di illusione.
Palla di neve
per gli abitanti
qui intorno.
A pagina sei
del libro dei fiori,
chiamata viburno.

martedì 14 aprile 2015

UN LUGLIO COSI'.

Luglio
è stato tutto così.
Le giornate
erano lunghe come le strade,
il caldo si chiamava estate,
l'acqua era un'estasi gocciolante,
le prugne
effondevano virtù zuccherine.
Luglio non è stato
mai morso dal vento
e il grano si è maturato
sotto le palpebre dolci dei fiori.
Luglio
non ha avuto aurore
grondanti di nebbia,
né notti turbate
dai lamenti delle solite streghe.
Luglio
è stato visitato
da tutti gli insetti,
mentre i martelli artigiani dei grilli
affilavano un Agosto sottile,
con una memoria contadina;
assai breve,
purtroppo.

LA PARTENZA.

Prima del viaggio,
l'uomo imboccò un lungo viale.
Si preparava all'assenza.
Raccolse alcune monete
in guisa di speranza;
seguì a fatica
dei segnali malcelati,
poi decise di aspettare.
Ancora non riusciva
a determinare
nessuna dirittura.
Per non smarrirsi
tra i suggerimenti della folla,
fece una ricerca da solo.
E divenne bugiardo.
Le sue bugie
furono tanto personali,
da trasformare il dubbio
in programma.
Stabilì così
un itinerario
giusto a misura,
adeguato all'impegno
della partenza.
Alla fine del viale
estrasse da tasca un biglietto.
Lo usò per viaggiare.

I BALLERINI.

Un'intesa perfetta
spingeva la coppia
a danzare.
Né levrieri
né elefanti,
ma giovani trionfanti.
Ricevevano il ballo
come un cibo,
sbranavano la vita
con l'avidità
di chi sa
di essere bello.
L'una
era cerbottana dell'altro,
poi si scambiavano i ruoli
e uno sguardo d'intesa.
Il loro ballo
si fece colloquio d'arte,
attrito di fianchi,
bisticcio di piedi,
sudore di schiene.
Dapprima
il groviglio delle loro figure
penetrò nell'aria
come fossero pesci nel mare,
poi i loro profili
si stagliarono in diagramma
a dare un'analisi
delle loro presenze,
infine il ballo
li assecondò ancora di più
e li convinse
che mai
quella canzone
avrebbe dovuto finire.

lunedì 13 aprile 2015

QUANDO IL MAGO.

Quando il mago
cancellò l'orizzonte,
salirono ugualmente loro,
gli ondulati
che fanno per tre,
poi si accese il rito
del pisso:
tutti quanti volevano il the.
Zanpupo e Montagna
dicevano sveglia,
Limone e Fragranza
emanavano voglia.
Al due,
al sette,
al dodicesimo,
belli cospetti
si fecero avanti
e ci volle un cicchetto
moltiplicato per tre.

Quando il mago
restituì la biro
si accese la gara,
ma, per la malora,
una fiamma bruciò il traguardo.
Desolato,
un vecchio monello
si tolse il gilè.

A rosicchiare,
a nascere sì e forse se,
a ballare sulla pallida sabbia
ci pensò Cantabimbo,
con molto coraggio.

Quando ritornò l'orizzonte
era tardi,
ma un piumino
aveva germogliato
sulle righe di sudore
che il mago
aveva lasciato
dietro di sè.

ANCORA DI PIU'.

L'ansia
di una povera cena
si presenta mestamente.
Ebbene, la malinconia
si arrende alla speranza.


Ora
non più l'ombreggiatura
invadente carica di malanni,
ma angeli in volo, leggeri,
gonfi d'amore,
portatori di fortuna
e di gloria!
Ora
di più una sorpresa
richiamata dal piacere:
una bocca ridente,
piena di battute vivaci
e di più ancora
la conquista di una città di fumo
con una battaglia senza morti,
dopo una guerra di sole vittorie.
Sempre di più,
un programma di preghiere
che si ripete per volontà
dell'immaginazione.
Più luce di sera
per i canti delle fontane,
più fasci di fieno
per le mucche in catena.
Se la sera fosse davvero fedele
e la notte un poco più dolce,
chi riuscirebbe a dormire?
Più luce
per scoprire nuove fonti di canto,
più stanze per ballare
quando si trova gente felice!
Più letti di piacere
tra soffi di carezze
e conoscenze gentili,
più indirizzi precisi
per salutare vecchi amici dimenticati,
più tracce
lungo la strada
per poter ritrovare
le stesse impronte
delle vecchie piste!

Ora
non più
una povera cena,
ora non più ansia,
ora, finalmente,
una cena
più ricca.


L'OMBRELLO.

Sono uscito sotto la pioggia
canalizzando il percorso
con attenzione.
Cultore della stravaganza,
mostravo indifferenza
ad ogni colpo d'acqua.
Superfluo dire
che non mi nascondevo
nemmeno durante le scene
più cariche d'acqua.
E sempre l'acqua
creava un'umidità intensa,
così da indurre la pioggia
a seguire la pioggia.
Durante questa breve uscita,
venni a sapere
nuove notizie
sulla diffusione elargita
con tanta abbondanza:
mi accorgevo lentamente
che la pioggia volava,
senza nessuna speranza
di mantenersi in volo.
L'aria non si lasciava schiacciare,
ma cedeva mollemente...
Io, con finalità di difesa,
programmai
un intelligente piano di evasione,
pertanto ricorsi ad uno
stratagemma
che mi evitò di schiumare
come un'onda del mare.
Ho reagito all'evento
aprendo l'ombrello.

domenica 12 aprile 2015

IL PUPO SI INGHIOTTE DA SOLO.

Dimenticare,
ricordare,
correre
ancora.
Il pupo
si sveglia
e chiama
la mama.
Col collo,
anche il nonno
si sveglia,
si gratta,
canta la canzone
blasfema
della bottiglia vuota.
Mama li chiama,
li incolla,
li sorveglia,
li nutre.

Imparare,
lottare,
preparare
con tante valige
tante partenze.
Dopo,
il pupo
si fa militare
e saluta la mama.
A casa,
il nonno va a letto,
finisce per addormentarsi,
ma rinuncia a svegliarsi.
In chiesa
si mettono
i frati
a fare
discorsi agitati.

Risparmiare,
restituire,
rinascere
ancora.
Dopo,
il pupo
si inghiotte
da solo.

IL GUIDATORE E LA CARRIOLA.

Il guidatore
era impegnato a spingere
la sua carriola.
La strada
gli aveva dato incomodo
sin dal mattino,
con un traffico folto
di battipanni nuovi,
di porcellane antiche,
di vetri levantini,
di zoccoli montani,
di agresti caciottine,
di minuscoli chiodini
e un numero incredibile
di solitari a piedi.
Il guidatore, stanco,
masticava pane.
Le tacche sulle mani
gli facevano un pò male.
Si fece massaggiare
da un lottatore nano,
apposito e frequente
in quel paese regionale.
Quella carriola rappezzata,
ben curata giocoforza
nell'armonia della sua corsa,
stava ferma
al fianco della strada
e aspettava,
come schiava d'arsenale,
ordini dal suo generale.
Il guidatore
non sempre la comandava:
spesso la guidava.
In discesa la frenava,
in salita la spingeva,
nel piano l'incolonnava.
Il fardello dell'economia
li affaticava insieme
e portavano merci per strada
in orari comuni:
due modifiche al sole,
poi una notte di riposo.
Il guidatore
guidava
e taceva.
L'armonia della sera
congiunse
guidatore e carriola
in un reciproco accordo:
il sonno divenne
immediato riposo.
Il mattino giunse col sole
e trasformò
il respiro della carriola
in cigolìo muscoloso.
Il guidatore
riprese il cammino.

sabato 11 aprile 2015

LA PIU' CARA PARENTE.

Trasognato, trasognata,
dentro il suo guscio
aspetta, respira.

Ehi, si sentono rumori!

Sì, ombre del mistero,
smetterete fra poco
d'ammiccare:
qui si sta per nascere!

Tutto proviene dal buio,
poi una miccia si consuma gemendo,
infine esplode ridendo.

Qui c'è una fata
che conosce i trucchi degli alambicchi,
conosce ogni strada
attraverso il sangue
e il dolore.
Lei non teme la tenebra
e palpita, spinge, preme,
infine sorride.

Ehi, lei ha la chiave!

Lei apre la porta del buio,
gli,le suggerisce di uscire,
gli,le insegna a gridare!
La testa di lui,lei, è un uovo,
poi viene la pelle,
il corpo,
la forma.
Lei si allontana,
felice;
lo lascia alla madre,
felice...

In fretta,
il figlio,la figlia, diventa vorace,
ruba,
violenta l'affetto oltre il bisogno,
conquista il suo spazio
con la forza della voce.

Ehi, è un guerriero!
Oppure un'amazzone!

La madre
rabbonisce la violenza col latte,
col dolce caglio dei seni...
La lotta prosegue nel tempo,
con le morbide pieghe dei fianchi,
coi capelli cresciuti,
con le braccia e le gambe
divenute salsicce,
con l'uso tenace della pazienza.

Ehi, basta un bacio
per fare la pace!

Vince l'amore,
se ha costanza.
Un'ombra di malinconia
conquista un sorriso;
avvengono
i primi giochi della conoscenza
e vince la lusinga.
La notte è un crudele destino
in comune,
così il guerriero conosce la madre
e l'amazzone la vuole sentire.
Dopo i suoni, le battaglie, gli scontri,
lei riposa
e diventa un balocco.
Nessuna unghia forestiera
può penetrare in quella carne;
solo i mantici caldi dei sorrisi,
le speranze dei padri,
il vino generoso dei parenti.

Ehi, si fa primavera!

Anche la carne
è cresciuta col sole;
Rigogliosa,
come l'erba sui prati,
la carne aumenta.
Non più guerriero,
non più cacciatrice,
ma vitelli,
bisognosi d'amore e di cibo.
E' lei che li conosce,
è lei che sente dai versi
ogni esigenza,
è lei che lo,la tocca e lo,la tiene
come dei fiori,
come cristalli preziosi,
per non fare del male.

Avvengono molte primavere...
Quando viene la primavera
dei denti e delle unghie lunghe
la madre scioglie la sua carne felice
e si gode il riposo dell'amicizia,
l'affetto delle confidenze,
l'orgoglio dei consigli...

Lei resterà sempre
la più cara parente.
NON FARMI L' OCCHIOLINO.


Non farmi l'occhiolino
in questa notte senza luna!
La scatola chiusa
dalle mie ciglia
non ti vede...
Io sono un animale impegnato
in un'esistenza
legata al suolo
e mi spavento
se incrocio il tuo sguardo
così attento...
Al momento che ti parlo,
sprofondo un terzo del mio ardore
nell'ospitalità del tuo cuore.

Si sta levando un vento
che cerca di sorprenderci insieme.
Non devi badarci,
né spaventarti.
Tu hai un occhio brillante,
io sono un semplice gioco
nell'altalena delle tue ciglia.
E poi,
in particolare,
non farmi l'occhiolino dalla strada,
ma entra in casa,
con fare principesco.
Allora io ti inviterò
a parlare di canzoni
e a mangiare profumati maccheroni.

In questa sera senza luna,
riuscirà bene anche la polenta.
Non farmi l'occhiolino,
stai attenta!

domenica 5 aprile 2015

Un cavaliere sconosciuto.


Un cavaliere sconosciuto.


Una torre
si rivelava,
modellata da un grande cielo
di cobalto.
Nella torre
c'era un  bicchiere
di cristallo,
a metà colmo
di un vino sconosciuto.
A fianco, una bottiglia
già stappata,
senza nome, senza data.
Nella torre,
un cavaliere sconosciuto
si scolò il bicchiere
e pure la bottiglia.


Sono Babbo Natale.


Navigo
sopra i rami
dei pini
e mi diverto,
con tanti doni
e della carta stagnola.
La luce della mia slitta
è intermittente, variabile,
rosso-nero, nero-rosso;
atterro a pancia piena
e mi diverto con la discesa.
Freno,
premo il pedale,
controllo la corsa
e atterro:
sono Babbo Natale.


Infinito.


Il gran cielo deserto
è senza confini:
è immenso,
è ampio,
è pieno di stelle luminose.
In solitudine,
veglia una luna
guardiana.
Il vento,
che di silenzio
non ne vuol sapere,
fruga ai confini dello spazio.
Il gran cielo deserto
fugge, ritorna,
si espande infinito.


Parole conservate.


Un'altra volta
andrò a comprare
un nuovo libro
e lo sceglierò
tra quelli 
che non si lasciano ammuffire.
Chi ama i libri
mi può capire.
Intendo parlare
di quelle piccole parole,
conservate come ciliegie sotto spirito,
di gente che,
dopo averci lasciato il cuore,
cerca ancora
di affermarsi con onore.
Tornerò ancora,
usando il mio metodo abrasivo
per lo sconto
e mi porterò a casa
una nuova raccolta
di parole essiccate,
schiacciate con dei rulli compressori
e poi stampate.



UNA UTENZA IDROSANITARIA.



RITRATTI.


PIPI' DI CAGNA.

Stare di cagna apparve,
benché bianca o pezzata che fosse,
con la testa bassa.
Stare di cagna diede
uno strano lamento,
una zampa accennata
tra il pelo,
uno sguardo in alto
nel cielo,
ma infine capì:
lasciò andare le zampe
e fece pipì.


LUPO NERO.

Lupo nero si avvicina a suo fratello
e gli chiede: " che cosa voleva
la preda che hai sopraffatto iersera?"
A domanda, il fratello produce
risposte ringhiose, botti di stringhe
e colpi di coda. Carattere ombroso
di lupo lunatico e un pò impacciato
dal catino forse troppo pesante.
Lupo nero è un bravo fratello
e gli chiede:" tu sei mio fratello;
il catino ti serve davvero
per lavarti le unghie? Anche a me
servirebbe un catino...
Le mie unghie non sono pulite."

L'AGRICOLTORE.

Il professore
te lo dice
quando è stanco;
l'agricoltore
si fa una cicca
e tace.
Non si lagna
con nessuno
e pace.
Il suo mestiere è duro:
c'è chi lo vede fortunato
e chi lo dice sorpassato.

L' ORTICOLTORE.

Il signore gentile
scavava con tanto piacere
che non sembrava possibile
si potesse mai stancare.
Il suo profilo deciso
risaltava, nell'atto dello scavo.
Si assentò per breve tempo,
giusto per risolvere un bisogno.
Ritornò, col badile di ritorno,
senza dissuadersi affatto
per quello ed altri scavi.
Il signore continuò;
ben presto diede un zig zag frenetico,
tanto da battere i piedi per la fretta.
Colpì la terra con le nocche delle dita,
si toccò la fronte,
sollevò lo sguardo al cielo,
ne fu premiato da un piccione...
Consolato, maneggiò alcune sementi,
le sparse in terra con circospezione,
in un silenzio agricoltore.
Sorrise per tre ore,
riposando senza fretta.
Riempì la borsa di profumo
e di verde
e se ne andò,
ciondolando la testa
soddisfatto.

L'AUTOMOBILISTA.

L'automobilista
si presentò
simulando uno scatto d'auto
che anche se non era in corsa
si diceva tutti che correva;
allora sì che partiva,
come dicono dall'inizio
quelli che sanno tutto sul tema..
L'automobilista si disorientò,
sperduto in mezzo
a tante strade aggrovigliate,
finché arrivò
nel centro del paese, sbocciato
negli ultimi dodici anni,
con gli abitanti tutti vestiti
di cotone colorato.
L'automobilista 
presentò una esse di fuoco
nella piazza centrale
contro il vigile sospettoso,
ma lo lasciò incerto
sull'uso del fischietto
che teneva appeso alla divisa.